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 2013  giugno 17 Lunedì calendario

FENOMENO RAFFEIDE STAR DI NOSTRA TIVVÙ

A Manila, dice?”. “A Manila”. Nel condominio delle vedove inconsolabili, a due passi da dove Aldo Moro andava a messa, Gianni Boncompagni non veste di nero. Per un mese, in attesa che i fucili delle celebrazioni tacciano e i 70 anni di Raffaella Carrà siano superati da più contemporanee urgenze, al centro commerciale con vista sull’autostrada, per lo struscio della domenica pomeriggio, andrà da solo. È arrivata l’estate e Raffaella Carrà, per sfuggire ai bilanci obbligati “gliel’ha data su”. A 10 mila piedi e 11.000 chilometri da Roma, in un punto scelto a caso sul mappamondo, il più distante possibile dalle perversioni consumistiche di Bonco, dal libro dei ricordi in cui le tappe esistenziali somigliano all’ultimo esilio volontario. Oggi le Filippine. Ieri, sempre in viaggio, la Francia, l’America e la Spagna. Di valige usurate e alte quote, Raffaella è un’esperta. Da Bologna: “Il luogo delle fatiche e del dovere” al bar di Bellaria: “Con il profumo delle piadine e le ragazze in bikini”. Dalla Romagna a Hollywood. Dalle acque basse dell’Adriatico allo stagno della nostra memoria. Dalla provincia all’altra parte della luna. Sotto il segno astrale dei predestinati, Raffaella lascia la bici alla stazione e prende il treno per Roma a otto anni. La leva precoce, rigida e meccanica, è l’Accademia di danza diretta dall’ucraina Evgenija Borisenko. Alta, magra, severa. La chiamano Jia Ruskaia, “Io, Russia” e non è un caso. Si fluttua sulle punte, si prova e si riprova, in una estenuante selezione naturale che di naturale non ha niente: “Ossessioni, esercizi interminabili, sacrifici”. Il padre è lontano. Conflittuale. Nell’avventura la scorta il matriarcato di casa Carrà. Di Raffaella e dei suoi sogni si occupano la madre Iris e una nonna “che amava musica, teatro e violino”. Di plasmarli, allontanandosi in fretta dalle sofferenze di una scuola militaresca, si incarica invece Raffaella. Per farle sbattere la porta, basta un dialogo dubitativo sulle artistiche prospettive della bionda. Ruskaia tenta la carta di una brutale sincerità: “Hai le caviglie piccole, ti vedo male, se continui così, forse a 28 anni diventerai coreografa”. Raffaella ne ha 14, lancia il mazzo e si allontana. I balletti classici in cantina. L’iscrizione al Centro sperimentale di cinematografia.
Il cinema
Sullo schermo era già apparsa per la prima volta a nove anni in “Tormento del passato” di Mario Bonnard. È Graziella, figlia di Luisa e di un padre distante, come nella realtà. Guarda una scimmia che applaude in un negozio di giocattoli e la chiede in regalo: “Guarda come balla bene”. Le viene negata. Il cinema le apre le porte dopo il diploma. Figlia di un antifascista sullo sfondo della nebbiosa, ambigua Ferrara dipinta da Bassani per l’esordio di Florestano Vancini nel drammatico “La lunga notte del ‘43”. Marta ne “I compagni” di Monicelli nella Torino operaia a cavallo tra ‘800 e ‘900 con Mastroianni e Folco Lulli impegnati in dialoghi rischiosi: “Che città è questa?”, “Una città di merda”. Fidanzata di un tedesco fucilata a bordo di un treno ne “Il colonnello Von Ryan con Frank Sinatra. Sul set, a Cortina d’Ampezzo, “The voice” perde la testa. Galanterie e doni: “Un giorno mi regala una collana. Arrossisco. Vado dal suo manager e protesto. La collana mi sembrava troppo”. Quelli non ci sentono: “Nel fine settimana potresti andare a Roma con Sinatra”. E Raffaella, secca, che si sveste da ancella: “Se volete la donna del gangster avete sbagliato indirizzo” accende la Mini Morris e torna a Bologna dalla madre. La convocano a Los Angeles. E all’ora dell’aperitivo, tra una confidenza impropria e l’altra, la signora Pelloni (il nome Carrà, raccontò Barbara Palombelli, fu un guizzo di Davide Guardamagna, autore esausto di sentirla chiamare Belloni o Palloni dai tecnici) rimpiange San Luca: “Assoluti sconosciuti mi dicevano ‘I love you’ e ‘darling’ come se dicessero buongiorno, ma ‘i love you’ a chi? Abbiamo mai mangiato insieme?”.
Dietro Raffaella Carrà c’è un grande uomo. Raffaella Carrà. Che ha amato, ma subdorando la truffa, non si è mai sposata. Non con Gino Stacchini, calciatore della Juve. Non con Little Tony. Loquace. Fin troppo sincero: “Era ‘bbona ‘bbona. Se proprio me lo volete fa’ di’, Raffaella era una bonazza. Dalla vita in giù la carrozzeria diventava ‘na favola. L’ho corteggiata fino alla morte. Andavo a prenderla con l’Alfa duemila e passeggiavamo sull’Appia Antica. No, no non è successo niente. È stato un amore innocente. Io so’ un Acquario, se vedo che nun è aria, non faccio l’affondo”. Non con l’adorato Gianni Boncompagni, fratello maggiore di giochi e autoironia: “Che non ha preso gli aerei giusti quando sarebbe stato il caso di imbarcarsi in fretta e correre da me”, ma in fondo onesto e incapace di negare la pigrizia del ménage: “Sono stato con lei 10 anni, 3 in più che con mia moglie. Raffaella era stakanovista. Io lavoravo poco e lei si arrabbiava perché guadagnavo il doppio”.
I suoi grandi amori
Non con Sergio Japino (il brutto per antonomasia, accompagnato dalla principessa Raffaella): “Le stavo indicando un movimento di danza, le tenevo un braccio intorno alla vita. Ci siamo guardati negli occhi: è finita la musica e abbiamo continuato a osservarci a lungo, in silenzio”. A nozze, davvero, con gli anelli, il giuramento e tutto il resto, solo nel suo alveo. La tv. Professionalità maniacale, decisionismo, nessuna autoindulgenza e fiducia nel proporsi. Raffaella è lì da mezzo secolo. Ha superato le mode e le stagioni parlando e ancheggiando a sterminate distese popolari. Ha inventato un linguaggio di gesti almeno in parte inconsapevolmente sofisticato. Ha dettato legge e provocato interpellanze parlamentari. Ha fatto arrabbiare Craxi: “Stavo mangiando davanti al telegiornale, avevo una forchetta piena di spaghetti. Rimase a mezz’aria, sul video c’era il presidente del Consiglio che gridava : ‘Il contratto della Carrà è una vergogna per gli italiani’. Ha impoverito Berlusconi, acceso le brame di Benigni e intervistato Kissinger. Conquistato i gay e i moralismi delle femministe. Per avere la sua possibilità in televisione, Raffaella chiede e non si vergogna. Vorrebbe tre minuti tutti per sé in “Io, Agata e tu”: “Li ha ottenuti anche padre Rotondi, perché a me no?”. Le danno retta e con Nino Ferrer, finisce nel Brionvega arancione di sua madre Iris a ballare “Oh che bel castello”. Iris telefona alla Rai. Bologna-Via Teulada. Molti gettoni. Lunga attesa. Se la fa passare con fatica: “Ma ieri sera non eri mica tu”, “Ma mamma, non mi hai riconosciuta?” E la madre, candida: “No, ieri sera eri un’altra””.
La signora Pelloni ha ragione. La prima copertina di Raffaella è del marzo 1970. In un istante, l’Italia precipita negli ombelichi di Canzonissima lasciati scoperti dal costumista Ruffini: “Che cosa ci trovassero di tanto straordinario nel mio ombelico me lo svelò mia madre: "Piace perché è un ombelico alla bolognese”.
L’ombelico del mondo. Alla bolognese
Nel Tuca Tuca. Nell’esiziale “Chissà se va” irradiata dai Juke-box: “Sai quanto me ne importa/?che me ne importa a me/?per una che va storta/ una dritta c’e’”. Negli oroscopi per bambini di Maga Maghella e nel magnifico “Milleluci” di quello straordinario artigiano di Antonello Falqui che per elidere i quindici centrimetri di differenza in altezza tra Mina e Raffaella, senza dir nulla alla Tigre di Cremona, le fa acquistare due paia di Zatteroni. Uno con il tacco alto per la prove, l’altro riabbassato alla bisogna per la diretta, certo “che nell’agitazione non se ne sarebbe mai accorta”. Nella sigla finale (“Io non gioco più”) Mina canta in versi il suo addio definitivo alle scene e Raffaella, già benedetta anni prima dallo storico direttore generale Rai Ettore Bernabei: “Lei è come la Ferrari, la esporteremo ovunque” prosegue da sola. Incarna mille anime. Veste centinaia di abiti. Rassicura le famiglie e le turba. Recita duetti con Topo Gigio e danza sexy da star male in “rumore”. Non si presta a definizioni certe, ma espatria a ondate regolari in Spagna dove trionfa con “La Hora de Raffaella” e diventa buona amica dei reali. Prima di “Ma che sera!” con Bice Valori, Noschese e Paolo Panelli e di melodie trasformate in Inni di Mameli: “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù? L’importante farlo sempre con chi hai voglia tu” che nel 1978 segnano il ritorno in tv dopo quasi un quinquennio di assenza, Raffaella è già ampiamente radicata nell’immaginario. Il suo casco giallo, sempre uguale: “Credo nella pulizia di una linea e a me l’eccesso non è mai piaciuto”. La sua preparazione. Le sue gite in via delle Botteghe Oscure a bordo di una Vespa per festeggiare la politica quando l’ideale aveva ancora un senso. La capacità di staccare tra il mestiere, i camerini, le partite a Tressette e le avvelenate di Burraco con Renato Zero. Il coraggio di sparire al momento giusto, “perché il pubblico si stanca di vedere sempre le stesse facce” e la televisione: “Va velocissima e per seguirne il ritmo non puoi fare a meno di guardarla anche da fuori”: Allontanando i consigli di un maestro come Pippo Baudo. Lui le suggerisce di non abbandonare mai il campo. Una filosofia realista: “Devi fare uno show all’anno” che Raffaella rifiuta prendendo anni sabbatici che si dilatano: “Una forma di igiene, riposo e rispetto per se stessi”.
Un effetto ottico perché Raffaella anche quando non c’è, passeggia nello stesso territorio di Mike Bongiorno e Raimondo Vianello. Icone immobili, punti di riferimento che lo spettatore non dimentica. Esistono anche le crisi, certo. Lo scirocco creativo. Il timore di aver già scritto la pagina migliore. Ogni volta che è accaduto, la rete invisibile di protezione ha restituito alla Carrà la correttezza che aveva seminato. Le casalinghe di Voghera impazziscono per scoprire quanti fagioli sono nel barattolo di “Pronto Raffaella” (ancora Boncompagni) e mentre Beniamino Placido la irride per una certa aria fittizia di reciproca bonomia con gli ospiti e attacca le incertezze del suo inglese in una delle tante trasferte statunitensi di “Buonasera Raffaella”, l’arcitaliano parla in dialetto: “Ghè pensi mi” e fa campagna acquisti. Per averla a Cologno Monzese, Berlusconi si impunta in una trattativa in stile Lodo Mondadori. Le spedisce gioielli, poi la trascina a Mediaset in groppa a cavalli dorati. Dura poco. A fine ’87 Raffaella torna in Rai e poi di nuovo in Spagna, nel ’92, per tre strapremiate tornate televisive architettando nei tempi morti il più machiavellico dei piani. C’è un format inglese, si intitola “Surprise surprise” e nell’incontro inatteso tra persone che non si vedono da decenni, mette in piazza stupore e lacrime. Raffa capisce che è il programma giusto e nel ’95, a 52 anni, a un passo dal Natale si ripresenta in Italia per condurlo.
Spettatori a decine di milioni, 40% di share, ironie della critica e pianti a favore di telecamera. Raffaella ride. Tutte le volte che in viale Mazzini nicchiano sul suo nome, dimostrano di avere torto. La celebrano per i trent’anni di carriera e insieme al suo profilo sobrio, gli acquirenti del suo disco “Fiesta” sono omaggiati con una statuetta che è il trionfo del kitsch. Le contraddizioni di Raffa. Che officia un Sanremo di esito medio alto nel 2001.
Tra Carramba e Sanremo
Il Festival è ritmato da qualche incomprensione con lo stilista Gai Mattiolo: “Non voleva scoprire le spalle, aveva dei tabù incomprensibili. Raffaella è un monumento nazionale, ma se si critica la Cappella Sistina, perché non si può criticare lei?”. Raffa non replica e assiste poi a un piccolo scippo tematico in Rai che la amareggia. La Carrà “un po’ Ginger Rogers un po’ Jessica Rabbit” descritta da Natalia Aspesi salta oltre ed emigra di nuovo: “Sono una donna che sa giocarsi le sue carte e non permette che le giochino gli altri”. Lontana dunque, ma ancora pronta a viaggiare a ritroso in un mezzo che conosce come pochi. La prima serata di Rai Due, “The voice”, l’ultima perla della collana. Riluce ancora. Anche se i figli, rimpianto di un’esistenza intera, non sono mai arrivati. Sostituiti dalle adozioni a distanza. Da altri simulacri. L’amore della gente. Il tempo tutto suo. Le gite in Maremma. Il salutismo. Il dentista a Madrid. Azzannare la vita fa venire fame. Raffaella non è sazia. Non è sazia ancora.