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 2013  giugno 17 Lunedì calendario

ROHANI, L’OCCIDENTE SPERA NEL MULLAH DAL VOLTO UMANO

L’Occidente lo conosce, perché, per oltre due anni, quando il presidente era Mohammad Khatami, fu un negoziatore dai toni concilianti sul dossier nucleare. E conta di trovare in lui un interlocutore più morbido del suo predecessore, Mahmud Ajmadinejad, che, dopo otto anni, lascia un Paese preda della crisi economica e isolato internazionalmente. Se Israele mostra prudenza e diffidenza, gli Stati Uniti, l’Ue, l’Onu concedono una linea di credito ad Hassan Rohani, il nuovo presidente dell’Iran, un religioso moderato di 64 anni, già considerato “il mullah dal volto umano”: tutti pronti a testarne l’apertura e la volontà di dialogo. Emma Bonino, ministro degli Esteri italiano, propone d’invitarlo alla conferenza di pace internazionale sulla Siria, se mai si farà. I banchi di prova della capacità di manovra di Rohani, all’esterno, ma anche all’interno del Paese, saranno proprio il dossier nucleare e la questione siriana. Molto dipenderà dal rapporto che saprà instaurare con la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, cui spettano le decisioni finali sui programmi atomici, che l’Occidente sospetta abbiano finalità militari: Khamenei, che da tempo non andava più d’accordo con Ahmadinejad, non ha mai dato segnali di malleabilità nella trattativa con i cosiddetti ‘5 + 1’, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania.
NELLE ELEZIONI di venerdì, Rohani era l’unico religioso e l’unico moderato in lizza: su di lui, si concentravano le speranze dei riformisti, marginalizzati in Iran dopo le proteste dell’Onda Verde seguite nel 2009 alla rielezione di Ahmadinejad, mentre i conservatori erano divisi fra più candidati. Ma che vincesse al primo turno, pochi lo immaginavano; e, se fosse andato al ballottaggio, si sarebbe trovato di fronte lo schieramento conservatore compattato e rinsaldato. Invece, il mullah ha saputo in qualche modo galvanizzare l’elettorato riformista e liberale, storicamente maggioritario rispetto al bacino conservatore – può potenzialmente contare 20 milioni di voti, contro 15/16 milioni –, ma venato di sfiducia e d’astensionismo dopo le sconfitte nel 2005 e nel 2009, senza nel contempo creare allarmi e quindi particolari mobilitazioni nel campo avversario. Rohani gode dell’avallo del leader del movimento, l’ex presidente Mohammad Khatami, cui è vicino e che l’aveva voluto negoziatore sul nucleare tra il 2003 e il 2005. Con Gran Bretagna, Francia e Germania, concordò una moratoria dell’arricchimento dell’uranio, l’aspetto più controverso del programma nucleare iraniano, e l’applicazione del protocollo addizionale al Trattato di non proliferazione, che aprì la strada alle ispezioni internazionali dei siti iraniani; in cambio, ottenne un certo allentamento della pressione internazionale sull’Iran. Una svolta provvisoria, perché l’arricchimento fu poi ripreso nel 2005 da Ahmadinejad. Fino all’elezione, e per 16 anni, Rohani è stato capo del centro di ricerca del Consiglio per i pareri di conformità, una specie di corte costituzionale presieduta da Akbar Hashemi Rafsanjani, altro ex presidente moderato, che pure l’appoggia: pur anziano, Rafsanjani avrebbe potuto essere di nuovo eletto, se non fosse stato escluso dai guardiani della rivoluzione formalmente per questioni d’età. In linea con Rafsanjani e Khatami, Rohani potrebbe formare un esecutivo trasversale e pluralista, raccogliendo consensi anche in aree tradizionalmente conservatrici. Il desiderio che gli viene attribuito è di migliorare le relazioni internazionali e arrivare a un allentamento delle sanzioni, appoggiandosi su quanti in Iran vogliono maggiori libertà sociali: una sfida ai conservatori, giocata sul nucleare, ma anche sulla carta dei diritti civili, che dovrebbe garantire pluralismo politico e libertà sociali, e su mosse per le donne e le minoranze etniche.