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 2013  giugno 18 Martedì calendario

IL DIARIO DI OLINDO IN CELLA: UN INNO (IN CODICE) A ROSA

C’è un foglio giallo, con due cuori e tre cerchi gialli, forse una mi­mosa. C’è scritto «fimine Romixsmecu meficumi xs» e «fi ne xs Romi cufiRome Ro». Sul li­bretto «modello 74» nelle pri­me pagine c’è incollato un an­no, il 1982, la frase «la voce del silenzio» e la scritta Angeli e de­moni. C’è anche il faccione di Mario Monti e la copertina di Famiglia Cristiana. Cosa vo­glia dire lo sa solo Olindo Roma­no, matricola BB17070007 se­zione CC, che ha consegnato la nuova Bibbia ai suoi legali Fa­bio Schembri e Luisa Bordeaux. Dentro ci sono altri pizzini, qualche lettera e una cartolina spedita da San Giovanni Roton­do indirizzata alla cella di Ope­ra che ospita l’uomo condanna­to all’ergastolo per la strage di Erba.
La Bibbia 2.0 di Olindo è tutta per sua moglie Rosa Bazzi («tu sei qui Rosa. 22208»), incapace di leggere e di scrivere ma se­condo la legge feroce assassina assieme al marito e per questo rinchiusa nel carcere di Bolla­te. Colpevole come il marito, al di là di ogni ragionevole dubbio secondo le sentenze, anche se la vicenda in cui morirono Raf­faella Castagna, 30 anni, suo figlio Youssef Marzouk, 2 anni e 3 mesi, Paola Galli (mamma di Raffaella), 65, e Valeria Cherubini, 55 ha lasciato moltissimi punti oscuri. Oscuri come il co­dice Olindo, opera di un cin­quantenne imbolsito che pas­sa un’ora al giorno a curare il suo orticello e che, qualche tem­po fa, si preoccupava per la sua patente scaduta o del compa­gno di cella Lele Mora, che pri­ma aveva visto troneggiare in tv assieme a Azouz Marzouk. Stra­no per un serial killer. Sembra passato un secolo dalle compar­sate dell’ex spacciatore tunisi­no a Matrix a puntare il dito con­tro i vicini di casa, ma anche l’uomo che perse moglie e figlio si è accorto che qualcosa non va, è un innocentista convinto, invoca la riapertura del proces­so, ha scritto a Strasburgo per chiedere di rifare tutto, ha ri­nunciato al risarcimento, ha liti­gato con i parenti della moglie, forse conosce una verità indici­bile e indimostrabile. Forse. Ma qui la giustizia con i suoi co­dici e le sue sentenze non riesce a passare più tra le sbarre, e co­me potrebbe? La vera «fine pe­na mai» per la diabolica coppia dichiarata «assassina» in nome del po­polo italia­no, è la loro lontananza, il vedersi ap­pena due ore a settimana per tre venerdì su quattro al me­se (chissà perché invece Olindo scri­ve «Martedì 15˚ col­loquio»), quando lei lo raggiunge da Bolla­te e va al carcere di Opera, nella sua cella «di transito» dove è so­lo, sempre solo, lo scorso genna­io sono sei anni che è rinchiuso.
«La vita e l’amore non hanno una sola unità di misura», scri­ve Olindo scritto a stampatello con una grafia da bambino. Poi il cuore giallo vicino alla foto di un coniglio, «cux i A O m» sem­bra un ti amo, chissà. Frasi crip­tate perché Olindo si crede un perseguitato: «Sincerità, elemento imprescindibile che punti dritto». Se fosse innocen­te come si è (quasi) sempre pro­clamato, come sempre più per­sone credono, allora tutto avrebbe un senso.
Intanto il pool difensivo, a cui si sono uniti nuovi periti come Francesco Bruno, sta lavoran­do alla riapertura del processo e avrebbe raccolto nuove prove legate a due impronte digitali e a due macchie di sangue «igno­to» raccolte dai Ris nell’apparta­mento della mattanza. Mentre sono centinaia gli iscritti al co­mitato «Rosa-Olindo: giustizia giusta» (comitato.rosaolindo@libero.it) guidato dall’avvocato Diego Soddu: «Ci sono anche padri di famiglia e professioni­sti da tutta Italia - assicura Sod­du al Giornale - gente che si è in­formata dopo la puntata di Chi l’ha visto, leggendo libri, navi­gando su internet, ascoltando la radio e che adesso crede alla loro innocenza».