Gian Marco Chiocci e Gian Micalessin, il Giornale 18/6/2013, 18 giugno 2013
QUEL RAGAZZO ITALIANO MORTO COMBATTENDO NEL NOME DI ALLAH
È morto in Siria combattendo contro il governo di Bashar Assad, ma non era siriano. E neppure arabo. Era di Genova, aveva in tasca un passaporto italiano ed era cresciuto in una famiglia che non aveva alcun legame con l’islam. La storia del convertito Giuliano D., confermata a il Giornale da diverse fonti dell’intelligence e del ministero dell’Interno, è la tragica storia di un ventenne genovese innamoratosi dell’islam ed inghiottito dal richiamo del fondamentalismo e della guerra santa. Di lui pochi vogliono parlare. Anche perché subito dopo il primo viaggio al confine turco realizzato più di un anno fa, e già allora puntualmente segnalato ai nostri servizi segreti, sarebbe entrato in contatto con un gruppo di volontari ceceni. Proprio quell’incontro lo avrebbe portato ad unirsi ad uno dei gruppi più estremisti impegnati sul fronte della guerra civile siriana. Sulla sua fine non esistono per ora conferme ufficiali, ma diverse fonti istituzionali e d’intelligence interpellate da ilGiornale concordano confidenzialmente sull’esito tragico della sua avventura. E comunque la presenza in Siria di un giovane genovese impegnato a combattere tra le fila dei ribelli viene confermata anche da Hamza Roberto Piccardo, il dirigente dell’Ucoi (Unione comunità islamiche) che oltre ad essere pure lui un convertito è anche di origini liguri. «Ho chiesto ai miei contatti e risulta effettivamente che uno di Genova si trovi in questo periodo in Siria, ma non sappiamo cosa gli sia successo» racconta dopo 24 ore di verifiche Piccardo. E quando il Giornale gli chiede se fosse veramente lì a combattere si mette a ridere. «Pensate ci sia andato in vacanza?».
La notizia - arrivata a il Giornale venerdì sera nel corso di un incontro non ufficiale con un alto esponente istituzionale - non viene confermata dalla Farnesina. I funzionari del nostro ministero degli Esteri interpellati sia domenica sia lunedì ripetono di non poter verificarla.
La tragica morte di Giuliano D. ci ricorda non solo quanto sia vicino a noi il conflitto siriano, ma anche i rischi che l’attrazione fatale esercitata sui musulmani residenti nel nostro paese ce li restituisca trasformati in combattenti fanatici, capaci non solo di adoperare armi ed esplosivi, ma pronti anche a minare la sicurezza interna del nostro paese. È già successo ai tempi della guerra di Bosnia quando dalla moschea di Milano partivano i volontari decisi ad aggregarsi alla Brigata internazionale jihadista in lotta con i serbi. Dai campi di battaglia bosniaci tornarono molti dei militanti che avrebbero trasformato la moschea di viale Jenner in uno dei capisaldi europei di Al Qaida.
Oggi, oltre a Giuliano D., sono passati per i campi di battaglia siriana, secondo fonti de il Giornale, almeno altri 20 jihadisti tenuti sotto stretto controllo dai nostri servizi segreti. A differenza del caduto genovese sono in gran parte immigrati di fede islamica arrivati in Italia da paesi arabi e del Maghreb, ma tutti avrebbero all’attivo almeno una trasferta a fianco dei ribelli anti Assad. La pericolosità di questa ventina di reduci jihadisti va considerata anche all’interno di un contesto europeo dai numeri assai più elevati ed assai più inquietanti. Secondo Gilles de Kerchove, responsabile delle politiche anti terrorismo dell’Unione europea, gli europei che hanno combattuto in Siria sono circa 500. Stando ad un rapporto del King’s College di Londra i reduci originari di 14 paesi europei sono invece oltre 600 e rappresentano tra il 7 e l’11 per cento di una legione straniera islamica che conta dai 2000 ai 5mila volontari. Il contingente più elevato risulta quello britannico con effettivi che variano fra i 38 e i 134 combattenti.
Subito dopo arrivano il Belgio, la Francia e l’Olanda con 107, 92 e 84 volontari nei momenti di massimo affollamento.