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 2013  giugno 18 Martedì calendario

In queste ultime settimane i parlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno criticato Beppe Grillo sono stati accusati di avere come obbiettivo lasciare il gruppo del movimento per poter intascare lo stipendio intero, senza i tagli e le rendicontazioni a cui sono obbligati gli altri grillini

In queste ultime settimane i parlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno criticato Beppe Grillo sono stati accusati di avere come obbiettivo lasciare il gruppo del movimento per poter intascare lo stipendio intero, senza i tagli e le rendicontazioni a cui sono obbligati gli altri grillini. In realtà la questione è molto più complessa. Lo scorso maggio il Movimento ha deciso di tagliare lo stipendio dei suoi parlamentari in maniera molto più sostanziosa di quanto annunciato in campagna elettorale. A più di tre mesi dalle elezioni, però, ancora non c’è ancora nessuna comunicazione ufficiale su cosa stanno facendo con i soldi a cui hanno rinunciato. Inoltre, a guardare bene, ci sono già oggi parlamentari che prendono meno soldi dei grillini – i soldi a cui rinunciano, però, li versano al partito. Lo stipendio dei parlamentari Partiamo dall’inizio: lo stipendio di un parlamentare ammonta a circa 11-13 mila euro netti al mese (dipende da vari fattori, come le addizionali Irpef locali). Lo stipendio è composto da diverse voci: circa 5 mila euro netti di indennità, 3.500 euro di diaria, 3.600 euro di spese per rapporti con gli elettori (in gran parte sono i soldi che dovrebbero andare ai collaboratori), un rimborso trimestrale di 3 mila euro per viaggi a Roma (che fa mille euro al mese) e un rimborso annuale di 3 mila euro per telefonate. Il Movimento 5 Stelle Lo stipendio dei grillini ha avuto una storia travagliata. Nel regolamento del movimento prima delle elezioni era scritto che i parlamentari avrebbero dovuto a rinunciare a metà della loro indennità netta (2.500 euro invece che 5.000), ma avrebbero potuto tenere tutto il resto (cioè diaria e rimborsi vari: la parte più consistente dello stipendio parlamentare). In altre parole: in campagna elettorale i grillini si erano impegnanti a rinunciare a 2.500 euro su un totale di 11-13 mila euro. Questa regola aveva spinto alcuni esponenti del PD, ad esempio Pippo Civati, a scrivere che i parlamentari del M5S avrebbero guadagnato di più dei loro colleghi del PD – poi vedremo perché. A metà maggio le cose sono cambiate e il movimento ha modificato il suo stesso regolamento. Di fatto, Beppe Grillo ha imposto una rinuncia molto maggiore a quella prevista dal regolamento. Oggi, i parlamentari del Movimento 5 Stelle devono rinunciare alle spese telefoniche e di spostamento (che sono poco più di un migliaio di euro al mese), mentre percepiranno la diaria (3.500 euro) e i rimborsi per i rapporti con gli elettori (altri 3.600 euro) soltanto per la parte che riusciranno a dimostrare di aver speso. I presenti hanno raccontato che la riunione è andata più o meno così: i gruppi parlamentari hanno votato su tutta una serie di proposte, poi, quando è arrivato il momento di decidere sulla diaria, i capigruppo hanno chiesto: “qualcuno non è d’accordo?”. Nessuno ha alzato la mano e la nuova regola è stata approvata. Facciamo i conti: i parlamentari del Movimento 5 Stelle rinunceranno in tutto a una cifra che va dai 3.500 euro al mese ai 7.100, a seconda di quanto rendiconteranno. Queste cifre sono confermate dagli stessi parlamentari del movimento che in queste ultime settimane hanno annunciato quanto restituiranno: una media di circa 5 mila euro al mese. Dove vanno questi soldi e dove sono quelli che i parlamentari del movimento hanno già ricevuto? Per il momento è ancora un mistero. Qualche mese fa si disse che non era possibile restituirli allo stato e il parlamento, qualche settimana fa, ha bocciato la proposta di creare un fondo per attività benefiche dove versarli. Per quanto su Facebook e su Twitter molti parlamentari del Movimento abbiano annunciato una “restituzione” è piuttosto difficile che questi soldi siano stati effettivamente dati a qualcuno. Alcuni hanno ipotizzato che al momento siano ancora sui conti dei vari parlamentari, in attesa che il movimento decida cosa farci. Abbiamo provato a domandare quali sono i programmi del movimento su questo tema a diversi parlamentari e addetti alla comunicazione del movimento, ma non abbiamo ricevuto risposta. L’ultima notizia in proposito risale a una settimana fa, quando Vito Crimi ha proposto di versare la parte tagliata dello stipendio al fondo statale per la riduzione del debito pubblico. Non è chiaro se questo piano sia già cominciato e se sarà possibile metterlo in pratica. E gli altri? Nessun partito ha proposto di “restituire” in qualche forma lo stipendio dei propri parlamentari allo stato o alla collettività e quasi nessuno costringe i propri parlamentari a rinunciare a una parte del loro stipendio come fa il Movimento 5 Stelle. Quel “quasi” rappresenta l’eccezione del PD: in alcuni casi, infatti, un parlamentare del PD rischia di percepire meno di uno del M5S – anche se sono soldi che si sa dove vanno: alle casse del partito. Ad esempio i grillini rinunciano a molto di più rispetto ai deputati della Lega Nord, che da sempre sono tenuti a versare al partito tra i 2 mila e i 2.400 euro al mese. Fare il parlamentare con il PDL costa ancora meno: 25 mila euro al momento dell’iscrizione in lista. Una cifra considerevole, ma che divisa per i 60 mesi di legislatura, fa appena 416 euro al mese. Dalle parti del PD, come al solito, la questione è più complicata. I parlamentari devono versare un “contributo alla campagna elettorale” (che possono decidere di rateizzare nel corso della legislatura e che devono versare solo se vengono eletti) e in più sono anche tenuti a versare una quota del loro stipendio al partito ogni mese. Ma l’entità di questi due costi viene decisa su base regionale, quindi cambia di regione in regione. Essere iscritti nelle liste elettorali del Veneto, ad esempio, costa 20 mila euro, mentre in Piemonte ne costa 50 mila. Il contributo in media è di circa 3 mila euro al mese, ma in certi casi può arrivare a più di 4 mila euro. Facendo un paio di conti, i parlamentari del PD più tartassati possono arrivare a versare alle casse del partito fino a 4.800 euro al mese (4 mila euro mensili più 50 mila diviso 60 mesi di legislatura, 833 euro). Sottraendo questa cifra allo stipendio medio di un parlamentare, 11 mila euro, risulta uno stipendio netto di 6.200 euro – meno del massimo che potrebbe guadagnare un parlamentare del Movimento 5 Stelle.