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 2013  giugno 21 Venerdì calendario

LA FRANCIA CHE SOGNAVA DI INFIAMMARE IL MONDO SI DICHIARÒ INSOLVENTE


Nella storia ci sono eventi destinati a segnare una svolta epocale. Uno di questi fu la pace di Vestfalia che nel 1648 decretò, di fatto, la fine del Sacro Romano Impero e la nascita di circa 300 entità politiche con sistemi fiscali e finanziari separati. Secondo Larry Neal, uno dei più autorevoli studiosi dell’architettura finanziaria dell’Europa fra il 1648 e il 1815, i conflitti provocati dallo spezzettamento del vecchio continente, «estesero e perfezionarono le innovazioni finanziarie scaturite dalla pressione esercitata dalla Guerra dei Trent’anni». Nel 1815, quando si concluse il Congresso di Vienna, la nuova architettura della finanza pubblica era ormai una realtà anche se non tutti i Paesi avevano avuto lo stesso successo dell’Inghilterra nella gestione del loro debito.
Il modello inglese non aveva però evitato crolli traumatici. Nel quarto di secolo successivo alla presa della Bastiglia l’Europa fu messa a soqquadro dalle armate napoleoniche. Nessun Paese fu risparmiato, e non furono risparmiati neppure i contribuenti francesi, italiani, olandesi che tuttavia non avevano potuto colmare i vuoti scavati nel bilancio pubblico e risanare la pesante eredità dell’ancien régime.

Cartamoneta senza più valore. Il governo francese fu costretto a ricorrere all’emissione di una montagna di cartamoneta ritardando semplicemente la resa dei conti che arrivò il 30 settembre 1797 quando il ministro delle Finanze del Direttorio, Dominique Ramel, sospese la contrattazione dei titoli di Stato e, in seguito, fece votare una legge che annullava i due terzi del debito pubblico, un provvedimento passato alla storia come la “bancarotta dei due terzi”. È stata l’ultima insolvenza dello Stato francese giustificata da Ramel con parole che assolvevano il suo governo riversando la colpa su chi aveva retto il Paese nei decenni precedenti: «Cancello le conseguenze del passato per dare allo Stato i mezzi necessari al proprio avvenire».
Quelle di Ramel non erano solo parole volte a infondere un briciolo di speranza nei cittadini, ma rispondevano a un disegno ben preciso. Il 19 febbraio 1796 aveva fatto bruciare sulla Place Vendôme una stampatrice di cartamoneta che nell’arco di sette anni aveva perso il 99% del proprio valore per decretare la fine di quell’inganno, e aveva riorganizzato il ministero delle Finanze conferendogli la struttura che rimane tuttora quasi immutata. In seguito Napoleone riuscì a finanziare gran parte delle sue imprese con il bottino di guerra. Nel 1813 il debito pubblico dell’impero non superava il 20% del pil mentre negli altri Paesi l’indebitamento raggiungeva un picco particolarmente elevato. Fra questi spiccava l’Inghilterra che nel 1815 aveva un debito superiore al 275% del pil.
Si era creata una condizione che sembrava preludere a una nuova ondata di bancarotte. E invece a cadere nella trappola del fallimento fu soltanto un numero limitato di Paesi. Nel 1839 ripudiò il debito l’Impero russo, nel 1868 fu la volta dell’Austria, ma nel complesso non si trattò di una ecatombe. Jacques Attali ha attribuito lo scampato pericolo alla nuova situazione che si era creata in Europa dopo il Congresso di Vienna e l’avvio della rivoluzione industriale: «Da quel momento», ha scritto, «i maggiori Paesi europei attraversarono un secolo di pace, di progresso tecnico e di crescita industriale che consentirono di ridurre le spese militari e di rimborsare i loro debiti. L’inflazione si attenuò; i prezzi si stabilizzarono e la moneta diventò affidabile». Non solo. «Le imprese private, per lo più familiari, chiedevano pochi prestiti e le rendite pubbliche diventarono investimenti privi di rischio… La condizione di rentier diventò un approdo molto ambito».
Grazie a questa svolta, fra il 1820 e il 1910, l’Inghilterra riuscì a ridurre il peso del debito pubblico ad appena il 25% del pil; gli Stati Uniti azzerarono il debito accumulato durante la guerra di indipendenza e ripreso a salire bruscamente con la guerra civile. Una sorte meno felice toccò nella seconda metà dell’Ottocento alla Francia e all’Italia. Il debito pubblico transalpino salì dal 30% o giù di lì intorno al 1850 a oltre il 100% nell’ultimo decennio del secolo; in Italia il peso dell’indebitamento aumentò dal 45% del pil nel 1861 al 106% nel 1899. Questa crescita era dovuta anche ai nuovi compiti che si era assunto lo Stato – sviluppo del sistema educativo, creazione di infrastrutture, assicurazioni sociali – che non riusciva però a fronteggiarli inasprendo la mano del fisco. Un esame dei bilanci pubblici francesi fra il 1816 e il 1899 rivela che si registrò un avanzo solo in sette anni; nel mezzo secolo dopo l’unità il bilancio italiano fu costantemente passivo; la stessa cosa accadde in Germania fino al 1924.
I rentier ai quali si riferiva Jacques Attali permettevano allo Stato di raccogliere denaro senza inasprire le imposte, ma aprivano nella società una ferita che incominciava a destare qualche preoccupazione. In un libro del 1874 Theodore Benard ammoniva che le rendite avevano ormai raggiunto una soglia tale da «minacciare seriamente la stabilità sociale» perché gli interessi dei ricchi, la nuova «classe di opulenti oziosi», erano meglio tutelati di quelli dei lavoratori. Ma c’era anche chi vedeva nella possibilità dello Stato di raccogliere capitali un’opportunità da non sprecare, purché fossero saggiamente investiti per migliorare le condizioni di lavoro ed elevare le condizioni materiali e intellettuali della popolazione, nonché in lavori pubblici.
Il debito pubblico era stato per secoli il tormento di città e sovrani; aveva arricchito, sia pure con qualche eccezione, i grandi banchieri; aveva finanziato guerre interminabili. A partire dal Settecento, e sempre più nel corso dell’Ottocento, si intensificò il dibattito sulla sua utilità e sui suoi possibili impieghi. In alcuni Paesi come l’Italia, la Francia e gli Stati Uniti, le guerre continuarono a fare la parte del leone, ma aumentarono anche le pressioni per indirizzare le risorse raccolte verso altri impieghi. Si potevano fare progetti improntati al più roseo ottimismo. Ma di lì a poco il mondo sarebbe cambiato ancora una volta.
5 - Continua