Massimo Gaggi, Corriere della Sera 21/06/2013, 21 giugno 2013
A CACCIA DI TALENTI COL GRANDE FRATELLO
«Big Data», la capacità dei moderni sistemi informatici di analizzare simultaneamente miliardi di dati personali di intere platee di soggetti (consumatori, elettori, persone che per qualche motivo si vogliono tenere sotto sorveglianza), sta cambiando il modo di vendere i prodotti ai consumatori, spiazza la pubblicità, rivoluziona le campagne elettorali che saranno basate sempre di più su messaggi personalizzati, diretti al singolo elettore. E, storia di questi giorni, cambia completamente i paradigmi della sorveglianza e dello spionaggio provocando tempeste e malumori incontenibili che scuotono l’Amministrazione Obama, con onde sismiche che arrivano fino alle imprese della Silicon Valley.
Ma «Big Data», oltre che nel commercio, nella politica e nello spionaggio, sta penetrando a fondo (almeno negli Stati Uniti) anche nel mondo del lavoro. Sempre più spesso, nel selezionare i candidati per un posto di lavoro, i dipartimenti delle risorse umane di molti grandi gruppi si affidano, più che ai classici curricula (ormai anch’essi digitali), a ricerche analitiche fatte da società specializzate che esaminano i dati sul comportamento e il rendimento di platee sterminate di lavoratori e confrontano questi risultati con le richieste di lavoro di milioni di individui.
È un business nuovo e potenzialmente ricchissimo sul quali si sono tuffati giganti come Ibm, Oracle e Sap, ma anche società che non dovrebbero avere nulla a che fare col mercato del lavoro. Come eHarmony, il celebre sito specializzato in affari sentimentali. Sei mesi fa i suoi gestori si sono accorti che, con le opportune modifiche del loro algoritmo matematico, potevano aggiungere all’attività tradizionale — la ricerca di cuori solitari — la «caccia grossa» ai talenti professionali. Quanto a Ibm, qualche mese fa ha speso 1,3 miliardi di dollari per acquistare Kenexa, una società capace di esaminare 40 milioni di richieste di lavoro all’anno.
Ma come verrete giudicati, se finirete sotto la lente d’ingrandimento di una di queste società? I criteri di valutazione variano. C’è chi va a scavare nel passato del candidato e magari studia i voti di un’intera carriera scolastica, non fissando dei titoli elencati nel curriculum. E c’è chi, più che al passato, guarda al potenziale di creatività futura del candidato, magari messo alla prova con dei giochi al computer o con dei test studiati per misurare l’intelligenza emotiva di un soggetto. Sociologi, psicologi ed economisti comportamentali dicono che sta nascendo una nuova disciplina: la «workforce science», la scienza della forza-lavoro, studiata in istituti prestigiosi come il centro affari digitali della Business school del Mit a Boston. Ma da dove arriva l’enorme mole di informazioni che vengono elaborate? Delle banche dati aziendali, ma anche da email, «instant message», telefonate, scrittura di codici per chi crea software e, sempre più spesso, sensori di tutti i tipi, sparpagliati nelle aziende. Oltre al disorientamento del candidato, che non sa più con che metro verrà giudicato, ecco rispuntare il problema del rispetto della privacy, accompagnati dal fantasma, ormai familiare, del Grande Fratello.
Massimo Gaggi