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 2013  giugno 21 Venerdì calendario

PUTIN GUASTAFESTE IN POLITICA ESTERA PER SOPRAVVIVERE AI CONFLITTI INTERNI

Un giocatore d’azzardo che con le sue mosse tiene in ostaggio l’intero tavolo: questo è sembrato essere negli ultimi giorni Vladimir Putin, quando al G8 in Irlanda del Nord si è messo di traverso sulla Siria e poi ha rispedito al mittente la proposta di Obama di una riduzione degli arsenali nucleari.
Ma in tutti e due i casi le ragioni che spingono il leader del Cremlino non riguardano soltanto la politica estera. Certo, i rapporti economici e militari fra la Russia e il regime di Damasco sono assai stretti, e Mosca ha la sue ragioni nel temere il contagio dell’estremismo islamico, visti i problemi che deve affrontare nel Caucaso (Cecenia e dintorni).
Ma Siria e missili strategici sono essenzialmente le due fiches rimaste in mano a Putin per far sì che la Russia sia ancora considerata una grande potenza con una sfera d’azione globale. E questa preoccupazione ha soprattutto a che fare con le vicende domestiche.
Il posto della Russia nella storia e nel mondo è sempre stata un’ossessione nazionale — e lo è oggi più che mai. In epoca sovietica era l’espansione del comunismo a fornire la copertura ideologica all’orgoglio patriottico. Oggi, Putin si è impegnato a recuperare la passata grandezza, che si misura anche e soprattutto da quanto la Russia è rispettata e temuta nel mondo. Un’impresa che è diventata essenziale per la stessa sopravvivenza del regime al potere al Cremlino. Durante i suoi primi due mandati, dal 2000 al 2008, Putin ha fondato la sua legittimità sulla stabilità interna e sul crescente miglioramento degli standard di vita (un risultato raggiunto grazie all’alto livello del prezzo del petrolio).
Ora che quell’epoca è finita, che la crescita appare inceppata e di conseguenza monta l’insoddisfazione delle classi medie, il leader russo ha resuscitato il nazionalismo come collante dell’opinione pubblica. E si può star certi che la maggioranza della popolazione è con lui.
Così si spiegano i toni stridenti raggiunti dall’antiamericanismo — dalla caccia agli «agenti stranieri» al bando alle adozioni. E così si spiegano le posizioni intransigenti sulla scena internazionale: una postura marziale per compattare il consenso interno.
Luigi Ippolito