Antonio Pascale, Corriere della Sera 21/06/2013, 21 giugno 2013
DAI CONCIMI ALLA LAVATRICE. IL BENESSERE CHE REGALO’ LIBERTA’
Per buona parte della sua vita, mio nonno Antonio, contadino meridionale, ha condotto il suo piccolo pezzo di terra seguendo i dettami della coltivazione biologica. Non per scelta etica, solo per necessità e contingenze sfavorevoli. Non disponeva di agrofarmaci, né di concimi sintetici, niente macchine, solo forza di braccia e poco o scarso miglioramento genetico. In fondo, è stato l’ultimo rappresentante di un modo di fare agricoltura andato avanti per millenni — un modo che a guardarlo ora causa commozione, per la fatica quotidiana e le paura del domani. Il risultato di tale pratica si riassumeva, a sentire mio nonno, in una parola sola: fame.
Non era tanto tempo fa, l’Italia tra le due guerre era povera, la disponibilità di calorie — comunque non bassa nel periodo post unitario, almeno a considerare la quantità (quanto vino si beveva allora) — subisce un drastico calo durante il fascismo: le politiche autarchiche (che qualche simpatico burlone ogni tanto ripropone sotto la versione chilometro zero) e il tasso di cambio del fascismo sono correlati con la malnutrizione. Perdiamo peso, circonferenza toracica e altezza. Finché, dopo la seconda guerra mondiale la rinascita. Dapprima lentamente poi a partire dagli anni 60 il boom.
Gli indicatori economici di quel periodo sono incredibili, migliora tutto, cala drasticamente la mortalità infantile, quella per parto, e sale l’aspettativa di vita. Il Pil (Prodotto interno lordo) nel dicembre del 1961 cresceva del 10,30%, un record che pochi paesi hanno eguagliato. L’Italia si scopriva intelligente (per citare un bel libro di Francesco Cassata, «L’Italia intelligente», Donzelli).
Aperta al mondo, capace di innovare i saperi e di integrare linguaggi: il genetista Adriano Buzzati Traverso apre il Ligb, il laboratorio internazionale di genetica e biofisica.
Giulio Natta riceve nel 1963 il Nobel per la chimica. Si deve a una sua scoperta la produzione del Moplen, il materiale plastico che per la resistenza alla pressione meccanica e soprattutto per la sua economicità, rivoluzionò l’industria chimica e naturalmente i consumi. «E mo e mo Moplen», diceva Gino Bramieri in una famosa pubblicità degli anni 60. Sono gli anni del design, degli albori del made in Italy, ma anche dell’affermazione della biologia, dell’unificazione della fisica e della costruzione dei primi laboratori che ospiteranno un sincrotone per elettroni — a Pisa la progettazione nel 1952 e a Frascati la costruzione, nel 1957. Periti industriali, fisici, ingegneri e chimici lavoreranno insieme, senza segreti: i laboratori erano aperti a tutti e tutti potevano vedere cosa bolliva in pentola.
Sono anche gli anni durante i quali mio nonno tirava un sospiro di sollievo, grazie alla rivoluzione verde (concimi e agrofarmaci, diserbanti e miglioramento genetico) riusciva a produrre di più e con meno fatica. Sono gli anni nei quali mio padre, in ragione di questo miglioramento, riusciva in un’impresa che a generazioni e generazioni di figli di contadini non era riuscita: si affrancava dalla terra, studiava e vinceva un concorso.
Si sposava con mia madre, prendevano un mutuo e acquistavano una casa. Sono soprattutto gli anni della lavatrice. Una semplice macchina con un cestello, ma che, incredibile a dirsi, libera mia madre e mia nonna dall’incombenza di lavare i panni (mia nonna faceva il bucato al fiume, tre giorni di lavoro).
Il tempo libero guadagnato regalava a mia mamma la possibilità di leggere dei libri e di passarmi questo piacere, per la lettura, appunto, per la cultura in senso lato. Se chiedete ora ai miei genitori com’erano quegli anni, fatta la tara della fisiologica retrospezione rosea (la tendenza a vedere il passato migliore del presente) vi diranno che erano anni pieni di speranza, il futuro non era un mostro, anche perché c’era la sensazione che si poteva affrontarlo assieme ad altri. Siamo quello che siamo grazie all’innovazione culturale e tecnologica di quegli anni, poi tutto si è spento e per vari ragioni. Cosa possiamo dire ora? Che i bilanci comprendono sempre benefici e costi.
Dei benefici godiamo, vero, ma ci sono e ci saranno costi da gestire. Senza una nuova rivoluzione culturale, senza ricerca scientifica i costi aumenteranno e ricadremo nel buco nero del passato.
Antonio Pascale