Stefano Bucci, Corriere della Sera 21/06/2013, 21 giugno 2013
LA PIETA’ DI CARPACCIO E GLI ALTRI CAPOLAVORI CHE ANDRANNO IN AFFITTO
Sono diecimila i frammenti dei musei statali (370 quelli censiti dall’Istat) che nel 2011 il ministero per i Beni e le attività culturali ha affittato per mostre e altro. L’articolo 14 del nuovo disegno di legge sulle semplificazioni, che permetterà di affittare all’estero per un massimo di 20 anni opere conservate nei magazzini dei nostri musei, nasce da qui e dalla constatazione che almeno la meta del patrimonio degli stessi musei giace nascosto nei depositi.
L’affitto potrebbe essere, dunque, una soluzione: «Ma quello che conta è definire regole precise e scegliere il giusto interlocutore» questa è l’opinione di Gabriella Belli, direttrice della Fondazione dei Musei civici veneziani (tra questi undici Palazzo Ducale, Ca’ Pesaro, Correr, Fortuny, quello del merletto e quello del vetro).
Belli, quasi per un forma di understatement, dichiara che nei «suoi» depositi «è difficile forse trovare un capolavoro di Tiziano o di Giorgione, anche se ci sono opere comunque interessanti che meritano di uscire dai depositi». D’altra parte proprio dai depositi del Correr (nascosto sotto il numero 1.088 del catalogo e sotto una prima assegnazione a Giorgio Fossaluzza) è arrivata una straordinaria Pietà da poco riconosciuta e «restituita» a Vittore Carpaccio (due anni fa dallo stesso deposito era arrivata un altro capolavoro del maestro, la Madonna con il Bambino).
«Questo passaggio esterno sarebbe utile per cancellare anche l’idea di un museo opaco — aggiunge Belli — ma, lo ripeto, bisogna essere attenti, è necessario uno screening serio dei possibili affittuari. Comunque non mi scandalizzo per niente se dovesse arrivare un ritorno economico. Il prestito è una prassi ormai consolidata, in Italia e in particolar modo all’estero. Almeno tra musei». Un affitto che «dovrebbe comunque partire da un serio lavoro di catalogazione dei depositi praticamente ancora da fare e quindi assai costoso». Un prestito che potrebbe interessare anche opere meno «classiche», come gli abiti della collezione di Palazzo Mocenigo (il Museo di storia del tessuto e del costume) che oggi sono visibili soltanto con visite guidate a prenotazione. Meno favorevole (o meglio favorevole con riserva) Belli sul prestito a collezionisti privati: «Qui l’attenzione dovrà essere ancora più decisa».
Della valorizzazione dei depositi, Antonio Natali, direttore degli Uffizi di Firenze, ha fatto una battaglia da sempre (oltre 2.500 le opere conservate in quelli della sua galleria): inanellando una serie di mostre (i Mai Visti alle Reali Poste, ma anche il Pane degli Angeli) dove si potevano trovare la Creazione di Adamo di Jacopo da Empoli o un arazzo con una Deposizione dalla croce su disegno del Salviati) con «materiale eccellente recuperato dai depositi».
Eppure, nonostante la ricchezza del patrimonio, Natali non vede del tutto di buon occhio l’idea di dare in affitto i suoi paesaggi fiamminghi, i suoi busti antichi, i suoi santi e navigatori: «Quei capolavori sono destinati a riempire le nuove stanze degli Uffizi, come quelle blu. E se proprio devono cederle preferisco scegliere di portarle sul territorio da dove sono arrivate come per le opere di un maestro del Seicento come Giovanni Martinelli che ho riportato nella sua città d’origine». Per lui la strada da seguire è un’altra: «Sarebbe molto più redditizio valorizzare gli angoli dimenticati della città piuttosto che le opere in deposito o portare più visitatori in musei ingiustamente dimenticati come il Bargello o la Palatina».
A proposito poi dell’interesse dei possibili acquirenti, come la sua collega dei Musei civici veneziani, dichiara «di non essere sicuro che potrebbero essere attirati da opere interessanti, ma che non sono Botticelli. I quadri più belli, i piccoli grandi capolavori preferisco tenerli per me. E per il mio museo».
Stefano Bucci