Aldo Grasso, Corriere della Sera 21/06/2013, 21 giugno 2013
L’EPOPEA MODERNA DI TONY, IL BOSS DEPRESSO
Non possiamo che ricordarlo così, nelle vesti di Tony Soprano. Ma non è solo un modo di dire, se pensiamo ai braccialetti di pesante oro giallo, al grosso anello al mignolo, alle polo fantasia Wal-Mart che Tony indossava in alternativa ai completi, all’accappatoio con la «S» ricamata, a tutto l’arredamento borghese della villetta con piscina in cui viveva con la sua dolce Carmela. James Gandolfini era Tony Soprano e lo sarà per sempre.
Al cinema era stato un buon caratterista (che poi è l’ossatura dei buoni film), aveva interpretato numerosi film anche da coprotagonista, ultimamente in Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow aveva sostenuto il ruolo dell’ex capo della Cia, Leon Panetta. Ma Gandolfini era e sarà sempre Tony Soprano, un personaggio di insolita complessità, diviso tra le sue due «famiglie», un uomo apparentemente normale che è contemporaneamente uno spietato boss mafioso. Anche in televisione a volte succedono miracoli e The Sopranos (Hbo, 1999) è stato uno di questi: la serialità televisiva ha dimostrato di saper raccontare la realtà più del cinema e della letteratura (e comunque ha perso ogni complesso di inferiorità nei loro confronti, facendo sfoggio di invidiabili modalità narrative) e un personaggio, un mafioso di terza generazione, si è magicamente identificato nel suo interprete. Ai personaggi famosi della letteratura possiamo dare tanti volti, a Tony Soprano no. Tony va in analisi perché stressato: è svenuto per un attacco di panico. Alla dottoressa che lo interroga e cerca di sciogliere il suo garbuglio interiore confida: «Non lo so… È bello lanciarsi nelle cose quando accadono agli inizi e io sono arrivato un po’ troppo tardi, questo è chiaro. Ma da un po’ di tempo, ho la sensazione di arrivare sempre quando tutto sta finendo e il meglio è già passato. Se ripenso a mio padre, lui non è mai arrivato in alto come me ma in un certo senso gli è andata meglio di me. Aveva gente su cui contare, gente di sani principi, gente con le palle. Oggigiorno che c’è rimasto?».
Anche la mafia, dunque, non è più quella di una volta, gli antichi modelli cui si ispira la mettono in crisi; basta un’anatra intravista nella piscina di casa per squassare una psiche e indurla al Prozac. Se oggi possiamo dire che Tony Soprano è uno dei grandi protagonisti del nostro immaginario tragico il merito è certo dell’autore David Chase, ma James Gandolfini ha fatto il resto, con un repertorio di sfumature psicologiche da grandissimo attore. L’epopea di Tony Soprano è anche il più grande affresco su una delle grandi malattie della modernità, la depressione. Un boss mafioso, l’ultimo erede delle famiglie che spadroneggiano nel New Jersey, diventa un caso clinico, un fragile depresso che ogni settimana deve incontrare una psicoterapeuta. L’impero del male si sta sfaldando, i padri storici rincoglioniscono in qualche casa di riposo, la polizia ha in mano elementi per incastrare la «famiglia», altre bande si fanno avanti... È complesso il mondo di Tony: una moglie tradita, vampate di rimorsi, amici traditori, figli ribelli, figliocci con scarse capacità malavitose, madri possessive, soldi sporchi, omicidi e furti, regolamenti di conti, doppie e triple morali, sensi di colpa, riavvicinamenti e rotture. Gandolfini è stato bravissimo a caricarsi sulle spalle questo universo in decomposizione e a restituircelo con ironia e consapevolezza. Tony è l’inconscio, James è il conscio. Nella memoria Tony e James sono inseparabili (come i pappagallini, i lovebirds, di Hitchcock) e hanno un compito molto arduo: raccontare la complessità che si nasconde dietro l’uomo medio americano. Anche se delinquente patentato, Tony è un uomo medio in tutto e per tutto. Qualcuno l’ha paragonato a Emma Bovary: come lei, Tony è un’affascinante miscela di cultura popolare, ambizione e sottomissione agli impulsi e agli appetiti che la società non sanziona. Ma che volto ha Emma Bovary? Non lo sapremo mai. Sappiamo invece che Gandolfini è stato capace di dare profondità alla distanza che corre tra l’esercizio fisico della violenza organizzata e la cupa instabilità della depressione. Tony si trova con una figlia che ha studiato alla Columbia, si è laureata in legge, e, come sottolinea sprezzantemente il padre, farà «l’avvocato dei neri»; si trova con un figlio, irresoluto e «ipersensibile», che vorrebbe firmare per l’esercito, finire in Afghanistan e poi, eventualmente, arruolarsi nella Cia. Una certa comicità sinistra si sprigiona dalla cupezza: ormai Tony si costringe a pulire tristemente la sua piscina per scaricare la tensione, o forse soltanto per risparmiare sul giardiniere. James Gandolfini ci ha insegnato che anche in televisione si può aspirare al meglio e di questo gli saremo eternamente grati.
Aldo Grasso