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 2013  giugno 21 Venerdì calendario

COSÌ SI CHIEDEVA ASILO NELL’ANTICA ROMA


Per un romano l’exilium non costituisce una condanna, ma una scelta fatta per sottrarsi a una pena o a una disgrazia incombente. L’exilium è un rifugio, l’exul abbandona Roma per cercare asilo presso un’altra città di cui, se verrà accolto, entrerà a far parte perdendo la cittadinanza romana. L’exul è propriamente un espatriato, un rifugiato, e in quanto tale si presenta come una figura estremamente attuale. I migranti, i richiedenti asilo che si affacciano oggi alle coste italiane o spagnole in cerca di un’accoglienza spesso negata, secondo le categorie dei romani sarebbero da considerare altrettanti exules, altrettanti troiani che fuggono dalle rovine della loro città. Senza peraltro dimenticare che i troiani furono inizialmente respinti da tutte le terre in cui cercarono rifugio, anche quelle del Latium.
Se gli etimologisti interpretavano la parola exilium come un uscir fuori (ex-) dal solum, anche Cicerone spiegava che l’esiliato è propriamente colui che vertit solum, che “muta terra”. Per i romani dunque l’esilio prendeva forma dal “suolo” d’origine che si era costretti a lasciare. All’exul inoltre veniva comminata la aqua et igni interdictio, l’interdizione dall’acqua e dal fuoco. Come spiegava un grammatico antico, «i condannati vengono esclusi dall’acqua e dal fuoco, tanto quanto ricevono [l’acqua e il fuoco] le spose novelle, evidentemente perché da queste due sostanze deriva più che da ogni altra la vita umana». Era costume infatti che, in occasione delle nozze, sulla soglia di casa la sposa fosse accolta con questa offerta, a significare la “comunione dell’acqua e del fuoco” con il proprio marito. L’esclusione del damnatus dall’acqua e dal fuoco, dunque, indicava il contrario di ciò che il donarli significava in occasione del matrimonio: la fine di una “comunione”.
La condizione dell’esiliato, a Roma, si definisce all’interno di un gioco di sostanze molto concrete: terra, acqua, fuoco. Costretto a “mutare terreno”, l’esiliato veniva escluso anche dall’acqua che lo dissetava e dal fuoco che lo riscaldava e gli cuoceva i cibi, luogo fisico e sostanze vitali gli erano simultaneamente preclusi. Le testimonianze antiche ci mettono dunque in grado di ambientare in qualche modo l’exilium. Non so quanto sia lecito trarre significati da ciò che la cultura antica lascia intravedere intorno alla condizione dell’esiliato. Ma è difficile resistere alla tentazione di farlo. Come sappiamo per un romano l’exilium configura una condizione simile a quella del moderno rifugiato, cioè di chi emigra o espatria per chiedere asilo in un altro paese o presso un’altra comunità. Non vi è dubbio che se il moderno rifugiato si presenta come qualcuno costretto a “mutare terreno” proprio come l’antico exul, egli sia spesso anche qualcuno a cui, nella propria terra, viene negata l’acqua, soprattutto, e talora anche il fuoco. Dipende solo dal “terreno” che l’esiliato è costretto ad abbandonare, se esso si trovi nel sud o nel nord del nostro mondo. Esclusione dall’acqua in Africa, assenza o negazione dell’energia in altre latitudini, paiono oggi restituire drammatica sostanza al fantasma romano della aqua et igni interdictio.