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 2013  giugno 21 Venerdì calendario

IDEM: NON MI DIMETTO IN QUELLA CASA CI VIVEVO


Non sono il tipo che bara. Né nello sport né fuori. Questo è il mio modo di vivere. Sono perfettamente consapevole di essere stata chiamata a fare il ministro anche per questo: perché per molti sono diventata, nel corso della mia carriera agonistica, un simbolo. Perché ho fatto otto olimpiadi e intanto due figli».
«Perché ho sempre vissuto lontanissima dal lusso, solo di quello che ho guadagnato — è il caso di dirlo — col sudore e con tanta fatica. Sono dunque anche consapevole che l’accusa di aver violato una legge, in questo caso di non aver pagato una tassa, è per una persona come me pesantissima. Delude, alimenta quel triste ritornello diffuso: lo vedi? tanto sono tutti uguali. Sono anche però consapevole che la tentazione di sporcare, in chi soffre di questo disturbo, è più grande davanti a un lenzuolo pulito. Ed è per questo che ho deciso di non dimettermi. Vorrei invece spiegare cosa è successo, e prima di tutto di capirlo io. Se in gara ti trovi davanti a un ostacolo lo affronti, non fuggi. Io non fuggo, in generale. Vediamo davanti a cosa ci troviamo».
Vediamolo, ministro Idem. Per cominciare: è vero che il presidente Letta le ha consigliato di rinunciare al mandato?
«No. Ci ho parlato a lungo, mi ha rinnovato la sua fiducia e questo mi ha fatto molto piacere».
Dunque, i fatti. L’accusa è quella di non aver pagato l’Ici. Lei e suo marito risultate residenti in due ‘prime case’ diverse, una delle quali sarebbe in realtà una palestra.
«Non è una palestra. Bisogna prima di tutto concentrarsi sul fatto che io sono un’atleta, e mio marito è il mio allenatore. Mi sono sempre allenata a casa, in famiglia. Viviamo in provincia, vicino a Ravenna, lontano dai grandi impianti. Nella mia casa c’è sempre stata una palestra come in quella di un professore c’è una biblioteca. Abitavamo, fino al 2007, in una casa di mia proprietà, su due piani: al terreno un open space di circa 100 metri quadri attrezzato a palestra, al primo piano l’abitazione. Quando sono cresciuti i figli abbiamo avuto bisogno di una casa più grande e ce la siamo costruita. Appena pronta ci siamo trasferiti, ma io ho continuato ad usare la vecchia casa sia come palestra che, in alcune occasioni, come ‘casa mia’. In fondo lo era sempre stata».
Dunque lei ha la residenza nella vecchia casa e suo marito nella nuova. Perciò trattandosi di due prime case non pagavate l’Ici. Solo che a un certo punto la palestra della vecchia casa è stata data in gestione ad un’associazione sportiva dilettantistica. E qui scattano controlli ed emergono le irregolarità.
«Come ho detto, se ci sono state irregolarità farò come qualunque cittadino. Pagherò con gli interessi. Però vorrei dire, per verità, che non mi sono mai occupata personalmente della gestione di queste cose. Nella mia vita ho passato sempre tre settimane al mese in canoa, dodici mesi all’anno. E’ tanto tempo. E’ quasi tutto il tempo. Ho sempre delegato ai tecnici chiedendo loro naturalmente di fare le cose a regola d’arte. Il commercialista, l’ingegnere, il geometra. Non le saprei nemmeno dire esattamente di che cifre stiamo parlando. Solo oggi per esempio ho saputo che si tratta di un importo di 600 euro all’anno. Inoltre: che la palestra della mia casa fosse utilizzata, nei periodi in cui in non c’ero, dall’associazione amatoriale a cui mio marito aveva affidato la gestione delle attrezzature anche per non tenerle inutilizzate in paese lo sapevano tutti da allora, dal 2007. La denuncia di irregolarità è emersa in consiglio comunale, a Ravenna, solo dopo che sono diventata ministro. Lo capisco, è una battaglia e si usa ogni mezzo. Ma se mi fossi resa conto prima che qualcosa non andava sarei intervenuta prima. Ancora l’altro giorno, a mia precisa domanda, il commercialista ha risposto che era tutto a posto. Lei pensa che se avessi immaginato di avere in carico qualche irregolarità amministrativa avrei accettato di fare il ministro? Quando Letta mi ha chiamato gli avrei detto scusa Enrico ma non posso».
Hanno scritto che se fosse stata in Germania si sarebbe già dimessa.
«Ci ho pensato molto. Però vede: a fare il ministro non ho fatto una scelta né di comodo né di convenienza. Ho accettato di mettermi al servizio della comunità e ci ho rimesso sul piano della vita privata e affettiva, sul piano economico. Vedo i miei figli un giorno a settimana, vivo lontana da mio marito, mi sono dimessa dall’agenzia di consulenza sportiva che avevo costituito, non posso più accettare alcuno sponsor. Guadagno meno di prima e vivo peggio, ma faccio un lavoro bellissimo e penso che ne valga la pena: di combattere contro la marginalità e la precarietà dello sport, di dare dignità agli atleti, di spiegare che lo sport giovanile è cultura e di fare in modo che entri nelle scuole, di combattere contro i pregiudizi verso le donne picchiate e uccise ogni giorno, verso chi è più debole e non vede riconosciuti i suoi diritti. Questo è quello che sono venuta a fare, e vorrei provare. Se poi il gioco al massacro, abituale tutto attorno a noi, prevede che sia questo il mio turno di essere fatta a pezzi io dico: la poltrona non mi interessa, mi interessa il progetto per cui sono stata chiamata. Se posso arrivare al traguardo ci provo, come sempre, con le mie sole forze. Ma non si muore in gara. Si combatte fino a che è sensato farlo».
Lei parlava di simboli. C’è una questione etica. Al di là delle eventuali violazioni lei sente di avere un debito, oggi, con chi si è fidato e si fida di lei?
«Guardi, io se ceno con un vecchio amico che oggi ha un incarico pubblico al momento del conto mi pongo il problema di chi paga. Quando il presidente del Coni ha proposto un incarico di consulenza a mio marito, che fa con successo il preparatore atletico da tutta la vita — da ben prima che io diventassi la Idem — gli ho chiesto di non accettare. Sono cose che non dico e di cui non mi piace parlare, ma non posso accettare che si metta in dubbio la mia onestà. Capisco che posso aver fatto un errore nell’affidarmi a persone che non hanno fatto il mio interesse, perché di questo con evidenza si tratta: se sono stata tenuta all’oscuro o mal consigliata ne ricavo un danno, non un vantaggio. Chi ne fa le spese sono io. Mi assumerò tutte le responsabilità di cittadina ma non posso attribuirmi colpe che non ho».
Cosa farà nelle prossime ore?
«Vado in Germania per due giorni a festeggiare i 50 anni di mia sorella. E’ la prima pausa da quando ho assunto l’incarico. Spero che non dicano che sono fuggita. Potrebbero, vero? No, non fuggo. Vado, e torno».