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 2013  giugno 21 Venerdì calendario

VA’ DOVE TI PORTA IL GAS

[Colloquio Con Carlo Malacarne] –
Un anno fa, nel giugno del 2012, alla Borsa del gas italiana il prezzo del metano era del 15-20 per cento superiore a quello delle altre Borse europee. Oggi è pressoché allineato. Che cosa è successo nel frattempo per spiegare questo aggiustamento? Uno pensa subito: finalmente, dopo anni e anni di infruttuosi tentativi, l’Eni, principale operatore sul mercato del gas in Italia, è stata costretta dal governo Monti a cedere il controllo di Snam, la società che gestisce l’infrastruttura (tubi, annessi e connessi) per il trasporto del metano, alla Cassa depositi e prestiti, la banca del ministero dell’Economia. Ed ecco il risultato. «Ma no, è solo una coincidenza – spiega a "l’Espresso", Carlo Malacarne, amministratore delegato della Snam -. I motivi dell’allineamento sono altri. Anche prima della separazione proprietaria le barriere erano tali che il prezzo del gas non risentiva dell’influenza dell’Eni sulla Snam».
E allora che cosa è successo in questi 12 mesi per centrare un obiettivo così importante? È vero che il prezzo di mercato, fatto alla Borsa del gas, riguarda una quota minima (circa il 6 per cento) di quanto si consuma in Italia perché la gran parte proviene dai contratti di fornitura a lunga scadenza (take-or-pay), firmati soprattutto dall’Eni. Ma in prospettiva la liquidità (numerosità degli scambi) del mercato spot (quello che si fa giorno per giorno) fa ben sperare. «I motivi dell’allineamento - continua Malacarne – sono tre. Intanto c’è più gas in commercio di quanto ne serve. Poi è facile scambiare il gas "spot", facendolo viaggiare nei nostri tubi. Che, e veniamo al terzo punto, sono migliorati grazie anche agli investimenti fatti in questi anni. Nella sola rete di trasporto del gas, tra il 2001 e il 2011 abbiamo investito oltre 7 miliardi. Su un altro piano, quello delle regole, un esempio può essere l’ingresso in Prisma, una piattaforma informatica che collega nove hub (punti di smistamento, ndr) e 19 trasportatori europei».
Facilitatore delle regole di mercato: così Malacarne definisce la funzione di Snam nel nuovo scenario delle infrastrutture energetiche. Pipeline, centrali, stoccaggi e tutto quanto serve per rendere flessibile e liquido il commercio del gas. Un settore in cui fino a poco tempo fa erano in tre big a spartirsi la torta mentre ora sono 60 gli operatori attivi: i piccoli comprano metano al confine dai grandi esportatori e lo vendono alle società di distribuzione che hanno i clienti finali. Compito di Snam è fare in modo che sia possibile scambiare il gas in modo efficiente: più sono i paesi produttori, gli operatori e i mercati collegati, maggiori sono le possibilità di scambio e minore è il margine che gli operatori riescono a caricare sul prezzo di origine. Per questo Snam ha allargato il suo raggio d’azione all’Europa. Ha siglato un’alleanza strategica con la belga Fluxys insieme alla quale ha di fatto acquisito una quota significativa per il controllo di Interconnector, che gestisce il tubo che porta il gas inglese dal Mare del Nord all’Europa continentale e viceversa. Poi è a buon punto la trattativa per rilevare da Total, insieme a Edf e al fondo sovrano di Singapore Gic, la società francese di trasporto e stoccaggio Tigf, un’operazione che potrà consentire anche di sfruttare, dando corpo al corridoio est-ovest, la capacità proveniente dai rigassificatori spagnoli, oggi sottoutilizzati. Infine la Snam presto potrebbe acquistare dalla stessa Cdp il Tag, un tubo che porta il gas russo attraverso l’Austria. Tutto con l’obiettivo finale di rendere più interconnessa la rete europea di trasporto del combustibile per farlo arrivare dalla Norvegia fino al Sud Europa e dall’Algeria fino ai paesi del Nord.
Per fare tutto ciò la Snam investe molto: oltre 1,3 miliardi l’anno anche per i prossimi 4 anni. Questi investimenti sono sostenuti indirettamente dai consumatori sulla cui bolletta la tariffa di trasporto pesa per il 5 per cento e che nell’ultimo decennio si è ridotta del 25 per cento circa per effetto anche della maggiore efficienza nei costi operativi. A vigilare sulla qualità e sulla convenienza degli investimenti ci pensa l’Autorità dell’energia che dovrebbe valutare se in prospettiva l’investimento (il capitale è remunerato al 6,4 per cento pre tasse) può produrre una riduzione del prezzo del gas o un miglioramento dell’efficienza del sistema (in Gran Bretagna un metro cubo di gas, prima di arrivare al consumatore finale, si scambia 10 volte, in Europa 4 e in Italia 2,5).
La Snam quindi, di fatto, sembra non correre grossi rischi imprenditoriali. E il mercato considera le sue azioni come dei titoli di Stato, poco rischiose. «Non è proprio così – obietta Malacarne -, anche noi siamo soggetti al rischio d’impresa in un contesto di mercato che dobbiamo valutare in un termine lunghissimo, oltre 30 anni. Dobbiamo anche essere capaci di posare dei tubi da un metro e mezzo di diametro, tra mille difficoltà tecniche e burocratiche, conciliando le esigenze del Paese con quelle dei territori che attraversiamo. E poi i nostri investimenti devono essere efficienti per essere approvati dall’Autorità. Pertanto se sbagliamo, i nostri ricavi calano come in qualsiasi altra impresa».
Fatto sta che il mercato apprezza sia il basso rischio sia la chiarezza dei meccanismi di regolazione. Compresi gli investitori esteri. Delle azioni Snam il 30 per cento appartiene alla Cdp, il restante 70 per cento è flottante con una preponderante presenza degli investitori istituzionali di Usa, Canada e Gran Bretagna. Senza contare che, con l’uscita dell’Eni dal capitale, la Snam si è trovata a dover rifinanziare in pochi mesi 12 miliardi di debito che ha dovuto restituire alla sua ex-capogruppo. Prima con un prestito di 15 miliardi da 11 banche italiane e internazionali, poi con una serie di emissioni obbligazionarie che hanno portato 7,5 miliardi nelle casse della società (utilizzati in parte per rimborsare i finanziamenti bancari), il problema è stato risolto: nel 2012 il costo del debito si è attestato al di sotto del 4 per cento e quest’anno è previsto che si mantenga su questi valori o scenda al 3,5. Livelli che poche imprese italiane possono vantare.
Ma che cosa accadrà nei prossimi anni? Qui si confrontano due visioni. Secondo alcuni analisti l’eccesso di offerta di gas dell’ultimo periodo continuerà o addirittura aumenterà: la scoperta di nuovi giacimenti e la flessione della domanda, dovuta in parte alla crisi in parte al boom delle rinnovabili con cui si produce l’energia elettrica, faranno sì che il gas continui ad abbondare. In questo scenario i grandi investimenti della Snam, se non visti in una logica di nuovi servizi e di interconnessione con gli altri Paesi europei, sarebbero poco giustificati: far pagare al consumatore la "sicurezza" dei flussi di metano attraverso un miglioramento dell’infrastruttura sarebbe un po’ come fargli pagare parte dei costi dei contratti take-or-pay dell’Eni che, in questa fase di depressione economica, si sono rivelati sovradimensionati (l’idea, non a caso, è stata buttata lì dall’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni). Malacarne obietta però che proprio quei contratti take-or-pay potrebbero essere rivisti favorendo il mercato spot, con la conseguenza che il gas immesso dall’Eni e dagli altri grossi importatori calerebbe mentre probabilmente Gazprom e Sonatrach, le società esportatrici dalla Russia e dall’Algeria, entrerebbero direttamente sul mercato. A quel punto sarebbe ancor più necessario investire per un miglior funzionamento dell’infrastruttura per garantire il gas a tutti anche quando arriva il grande freddo. E qui entrano in gioco i siti per gli stoccaggi, dove si accumulano riserve di gas da utilizzare nei momenti di maggior bisogno. «Quest’inverno – racconta Malacarne - abbiamo erogato per la prima volta nella storia 10 miliardi di metri cubi dagli stoccaggi su una capacità di 15 miliardi, di cui 4,5 di riserve strategiche. Contiamo di investire un miliardo di euro per sviluppare altri 4 miliardi di metri cubi di stoccaggi da destinare al mercato industriale».