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 2013  giugno 21 Venerdì calendario

ENRICO L’EUROCENTRICO

Qualcuno lo chiama Enrico l’europeo, e questo contiene tutto, e se evoca Scipione che sconfisse Annibale e conquistò l’Africa, indica bene la cifra del capo del governo italiano. Aveva appena ottenuto la fiducia dal Parlamento che già era sull’aereo per il giro europeo Berlino-Parigi-Bruxelles. Realizzare le idee di Altiero Spinelli, ha detto, sarebbe il sogno di una vita. L’Europa sarà una delle ossessioni, aveva avvertito appena nominato. E anche la pressione e il piano contro la disoccupazione giovanile punto focale del prossimo vertice Ue di fine giugno, «è per dare risultati alle famiglie italiane ed europee». In Irlanda, al G8, parlava dell’Italia. Ma in sottofondo si sentiva sempre l’eco dell’Europa.
Enrico Letta è il primo presidente del Consiglio nato quando l’Europa era già unita. È il padrino della generazione Erasmus che arriva dopo Mario Monti, il premier-garante per Bruxelles, salvatore della patria in patria. E segna la svolta per molte ragioni. Guido Carli diceva che l’Europa era quella roccia su cui piantavi un chiodo con il quale portavi su tutta la cordata italiana. Ciampi e Prodi volevano cambiare l’Italia attraverso l’Unione europea. Letta, che cita spesso la storica foto di Helmut Kohl e François Mitterrand mano nella mano a Verdun, simbolo della pacificazione franco-tedesca, ha virato il passo all’europeismo italiano: vuole cambiare l’Italia anche per costruire l’Europa.
In meno di due mesi, ha incontrato, e più volte, quasi tutti i leader, Angela Merkel in primis che lo sta studiando - ma, è stato notato, lo ha già baciato sulla guancia nonostante sia un neo-leader... - poi François Hollande, e anche un tête-à-tête con David Cameron al suo primo vertice Ue di maggio. È andato a Varsavia, a Madrid, ha parlato a lungo con la nuova premier slovena Alenka Bratusek, non si contano i colloqui con il presidente della Commissione europea José Barroso, è in linea diretta con il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy (che scade nel 2014, e già si dice che Letta potrebbe aspirare alla sua poltrona). Ha inaugurato un nuovo format, mettere intorno a un tavolo, com’è stato a inizio giugno a Roma, i ministri europei dell’Economia insieme a quelli del Lavoro «perché per noi sono più importanti le persone dei numeri». Si è circondato di uomini che conoscono le stanze del potere europeo, come Fabrizio Grassi (ex Ocse) e Stefano Pagani (al fianco di Monti per gli Affari esteri); l’ambasciatore Armando Varricchio, suo consigliere diplomatico, ha iniziato la carriera a Bruxelles, è stato con Romano Prodi alla Commissione europea e anche al Quirinale come consigliere aggiunto di Giorgio Napolitano; è strettissima la vicinanza con il ministro per l’Europa Enzo Moavero Milanesi, uno cresciuto con il gotha dell’establishment internazionale, con cui ha una conoscenza ventennale, l’unico del governo Monti a essere stato riconfermato, anche a dimostrazione di quanto il Capo dello Stato consideri fondamentale il segno europeo.
Letta parla più di issue e dossier europei, di crescita comunitaria, di stop alla procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia finalmente in regola con i parametri, di quanto non parli di Finmeccanica, di Eni o di Siria. Mentre festeggiava la visibilità conquistata al G8 per le sue sollecitazioni sulla lotta contro la disoccupazione giovanile «priorità nel dibattito politico europeo» e per il piano di interventi da presentare al Consiglio d’estate che chiude l’anno europeo («Ma attendo le conclusioni sapendo che dovranno essere molto concrete»), la leader Cgil Susanna Camusso lo aspettava al varco. E segnalava che però sarebbe diventato sempre più difficile trovare lavoro se non si faceva al più presto qualcosa per fermare la morìa quotidiana delle fabbriche. Come a dire, dobbiamo occuparci anche di questo. «L’Italia può essere il Paese rompighiaccio per arrivare all’unione politica dell’Europa», ha più volte sostenuto Letta che crede nell’unione bancaria e nell’esercito unico europeo che porterebbe un considerevole risparmio.
Difficile dargli torto. Dalla cabina di regia di Bruxelles, però, molti considerano il suo euro-entusiasmo troppo acritico, forse perché non si è ancora vista l’altra faccia della medaglia, quando si accentuano le posizioni nazionali e le belle parole si allontanano dai fatti. Basta ripensare al vertice del giugno 2012 quando nella sala riunioni, alle due di notte, appoggiati a un angolo del tavolo, i grandi della terra e dell’Europa Monti, Merkel e Hollande, piuttosto a pezzi, scrivevano e riscrivevano le quattro righe cruciali per ognuno dei loro Paesi sul patto per la crescita discutendo su ogni singola parola. E qualcuno rimprovera all’Italia piccinerie e bizantinismi...
Ma il premier ha fatto la scuola dell’obbligo a Strasburgo; si è specializzato a Pisa in Diritto delle comunità europee; è stato presidente dei Giovani democristiani europei; nel governo D’Alema ha guidato il ministero per le Politiche comunitarie; nel 2004, ha vinto il seggio da eurodeputato; è di casa tra le quinte di Palazzo Berlaymont e lo conoscono tutti perché al contrario di altri è stato un parlamentare molto attivo. È lontano anni luce dagli arzilli ultrasettantenni come il Cavaliere, figli di una scacchiera geopolitica morta e sepolta e in questo in totale sintonia con l’anti-europeismo di Beppe Grillo. Mentre non si registra nessun dissenso né dal ministro dell’Interno Angelino Alfano né da quello delle Infrastrutture Maurizio Lupi (Renato Brunetta o Maurizio Gasparri fanno storia a sé). Non mancano, naturalmente, i franchi tiratori che nell’ombra del suo partito, il Pd, gli sparano addosso accusandolo di tuffarsi nel mare europeo per non affrontare il terremoto italiano.
«È L’Europa il faro che deve guidare il governo sui diritti civili», ha detto il premier. Nichi Vendola, presidente di Sel, ha twittato: « Non c’è Europa senza diritti civili». In ogni caso Letta, secchione negli studi e democristianio per formazione e metodo, ci crede davvero, e per lui l’occupazione è anche il viatico per la fiducia nell’Unione europea. Così nella sua agenda per la comunicazione (il suo capo ufficio stampa Monica Nardi ha anche insegnato Governance europea e allargamento all’Università di Trieste) c’è una missione da Tom Cruise: trasformare la percezione finora respingente dell’identità europea in una formidabile opportunità.
Naturalmente, la discriminante, lo spartiacque, la svolta è l’appartenza a una generazione Europa. Al G8 la foto dell’incontro con Barack è uno scatto storico per il nostro Paese. Sancisce la pagina nuova e lo status generazionale della classe politica. Lui e il presidente Usa sono in blazer e pantaloni informali, si stringono la mano in un vialetto di campagna, perfettamente compatibili con Cameron. Il modo in cui si sono evolute le formalità dei vertici sono parte di quello che i vertici sono diventati. Non ci sono più statisti, ma leader politici. L’altra foto ufficiale, quella degli otto intorno al tavolino, Obama, Cameron e lui in maniche di camicia, dà il senso del cambiamento. Se Giuliano Amato si toglie la giacca è un signore che ha fatto uno sforzo...
Letta è un cinquantenne che non ha bisogno di truccarsi né di mettersi i tacchi, nato in una situazione di privilegio certo, un notabile dell’Aspen Institute ben abituato ai think tank internazionali e dunque a parlare più lingue. Il suo maestro Beniamino Andreatta gli ha lasciato in eredità l’Arel, artefice di un forum decennale con un’altra associazione spagnola che gli ha consentito conoscenza e frequentazione con il presidente Mariano Rajoy. «L’Italia ha una grande occasione, la guida del secondo semestre 2014», ricorda spesso il presidente del Consiglio che crede a un’Europa post ideologica e soprattutto più sociale. Non ha mai nascosto che, da Roma o da Bruxelles, vorrà esserne un punto di riferimento importante.