Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 21/6/2013, 21 giugno 2013
TUTTO ALL’INSAPUTA DI JOSEFA
Metto la maglietta nel borsone insieme alle scarpe da ginnastica e all’asciugamano. Dove vado a fare fitness? Alla palestra Jajo Gym in via Carraia Bezzi. C’è l’insegna, ma la porta è chiusa. Il giorno dopo l’affaire, anche le imposte sono serrate. Niente corsi di fitness, niente attrezzi, niente stretching. È chiusa per motivi familiari, dice Maurizio Patanè, che secondo i vigili urbani è l’affittuario e gestore della palestra e anche su Facebook risulta (risultava) il factotum di Jajo Gym.
Lui però nega, è lì per caso. Rimetto il borsone sulla spalla. Oggi non riesco a fare ginnastica. E il nome di Patanè poi scompare misteriosamente sul sito web della palestra.
L’affaire-Josefa Idem il giorno dopo. Insieme al marito, che è anche il suo allenatore, Giuglielmo Guerrini, possiede due appartamenti. In uno ha la residenza lui, nell’altro lei. In quest’ultimo, però, c’è una palestra aperta al pubblico, che al Comune e all’Agenzia delle entrate non risulta. Un inghippo autorizzativo e fiscale che è diventato un casus belli tra maggioranza e opposizione, locale e non.
Proprio in questi giorni, da ministro, Josefa aveva sollevato qualche protesta per la decisione di partecipare al Gay Pride di Palermo. «Difendo certi diritti, non sfilerò vestita di piume»: ma potrebbe non sfilare per niente.
Enrico Letta non riesce a digerire la faccenda della palestra non denunciata, quindi clandestina, per la quale la pluricampionessa non pagava neppure l’Imu. Un comportamento sconveniente soprattutto per il ministro di un governo che ha fatto dell’integerrimità una delle due bandiere. Per questo potrebbero arrivare anche le dimissioni, spontanee o richieste.
Ravenna è una città piccola e quella palestra della campionessa olimpica era sotto gli occhi di tutti perciò quando si è incominciato a vociferare, il sindaco, Fabrizio Matteucci, bersaniano doc, è sobbalzato. Era stato lui a proporre a Pier Luigi Bersani l’elezione in parlamento della concittadina olimpica, una canoista bella, spigliata, popolare. Il sindaco l’aveva voluta come assessore allo sport e già per questo ebbe qualche grattacapo perché lei, in consiglio comunale e in giunta, non c’era quasi mai.
Ma questo non le ha impedito il salto in parlamento e, addirittura, nella compagine di governo poiché Letta era alla disperata ricerca di facce nuove e pulite. Adesso il presidente si ritrova col ministro chiacchierato e la grana è esplosa proprio il giorno in cui, al termine del G8, dichiarava: «Il problema dell’Italia è soprattutto dare l’idea di uno Stato di diritto che funzioni».
Stasera Josefa Idem è attesa a Sant’Angelo in Lizzola, nelle Marche, per parlare di sport. Ma le chiederanno anche dell’Imu perché finora s’è rinserrata in casa, con annessa palestra fantasma, chiudendo la porta ai giornalisti. Unica dichiarazione: «Se ho sbagliato pagherò la sanzione ma si tratta di una polemica locale». Ma proprio locale non è poiché la Leganord ha presentato un’interrogazione parlamentare: «Viste le risposte stizzite e arroganti della ministra sulle note vicende, è evidente il suo nervosismo che è probabile sintomo dell’ impossibilità di smentire e pertanto l’unica soluzione sono le sue dimissioni. In mancanza di queste, è già pronta la nostra mozione di sfiducia».
Del resto la dichiarazione del marito («una semplice disattenzione, si è dimenticata di regolarizzare») ha aggravato la situazione tanto che se ne parlerà anche in consiglio comunale su richiesta del consigliere 5stelle, Pietro Vandini: «Secondo il verbale dei vigili urbani pare proprio che la palestra di via Bezzi fosse un’attività commerciale a tutti gli effetti, in un luogo dove non è formalmente presente alcuna attività. Ad oggi oltre all’amministrazione comunale, esiste un’altra autorità, la guardia di finanza, che ha intenzione o ha già promosso accertamenti per chiarire la posizione fiscale e l’eventuale rapporto che intercorre tra la società che gestisce la palestra e il ministro»?
Vandini si interroga anche sulla posizione dei lavoratori della struttura: «Pare normale e ovvio chiedersi inoltre a chi eventualmente fosse pagato l’affitto dagli affittuari e dei gestori della palestra dal momento in cui tale palestra non esiste; come altrettanto ovvio è chiedersi quale fosse la posizione contributiva e retributiva dei dipendenti e dei collaboratori che operavano all’interno di tale attività commerciale».
Già a causa di un’altra interrogazione, che aprì il caso, il sindaco, col groppo in gola, mandò i vigili a verificare. Tornarono con un lungo cahier de doleances: Ici non pagata per quattro anni e irregolarità edilizie, una palestra per il fitness censita come abitazione e ristrutturazioni senza autorizzazione: è stato fatto un restauro senza presentare la segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e dal sopralluogo dei geometri del comune «non risulta la conformità edilizia e l’agibilità della struttura». Un comportamento assai poco tedesco, il Paese d’origine dell’atleta che ben si è adattata agli usi nostrani.
La ministra ha sanato alcuni giorni fa una parte delle irregolarità, forse sperando di mettere a tacere le polemiche. Il suo avvocato Luca Di Raimondo, dichiara: «Stiamo valutando ma è ovvio che è in atto una speculazione, peraltro fisiologica nella dialettica politica, e della quale ciascuno si assumerà le sue responsabilità». Intanto oggi niente ginnastica. Tutti sedentari per via di una palestra fantasma per il Comune e per il fisco. Josefa Idem sale sul podio, ma questa volta non è quello olimpico.