Ernesto Galli Della Loggia, Style 20/6/2013, 20 giugno 2013
CHI NON VUOLE GIUSTIZIA
Lo scontro che da anni oppone Silvio Berlusconi ai magistrati ha avuto anche questa conseguenza perniciosa: di cancellare di fatto qualunque informazione e discussione ragionata sulle condizioni della giustizia in Italia. Così sappiamo tutto su Ruby e sappiamo poco, invece, sulle regole sbagliate, sulle patologie, che caratterizzano la nostra giustizia (basti citare un solo dato, ma che spiega perché è così difficile che il capitale straniero investa in Italia: siamo l’ultimo dei Paesi Ocse per capacità di esecuzione giudiziaria dei contratti, con uno scarto di 158 a uno con il primo in graduatoria, il Lussemburgo). Anche le forze politiche si guardano bene dall’affrontare il problema della giustizia in generale: le une tutte prese a polemizzare contro questo o quel pm, le altre a difendere tutto in blocco. Per mettere a fuoco le patologie di cui sopra bisogna allora ricorrere a dei testi specialistici, spesso di non facile lettura come quelli di Giovanni Verde, Il difficile rapporto tra giudice e legge (Edizioni Esi), e il testo di Daniela Piana 5 Magistratura in La qualità della democrazia in Italia (a cura di Morlino, Piana e Rainolo, II Mulino), da cui, assumendomi l’intera responsabilità del riassunto, ho tratto quanto ora dirò a proposito di due punti a mio parere fondamentali (non prima però di sfatare il mito che l’Italia spende poco per la giustizia. Non è vero: a conti fatti spendiamo circa il doppio della Francia).
1) Il giudizio di ricorso in Cassazione. In teoria dovrebbe essere riservato solo per violazioni della legge, ma poiché un articolo della Costituzione autorizza il ricorso contro tutte le sentenze, ciò impedisce la definizione di qualunque filtro selettivo. Risultato: oltre 100 mila ricorsi pendenti (30 mila ogni anno in sede civile, anche di più in sede penale), e l’apposizione di filtri surrettizi (e sommamente iniqui) come quello di stabilire delle spese giudiziarie di accesso assai alte pur di evitare l’ingorgo dei ricorsi. Non solo, ma l’adozione da parte della Cassazione stessa di una disposizione in base alla quale non sono ammessi ricorsi per vizio formale a meno che non si dimostri che in assenza di tale vizio la decisione sarebbe stata o avrebbe potuto essere diversa. Ma che fine fa in questo modo, si chiede giustamente uno dei nostri autori, la disciplina procedurale del processo? Ed è ammissibile una simile prevalenza del carattere sostanziale della giustizia?
2) Il Consiglio Superiore della Magistratura. Il Csm, veniamo a sapere, ha conosciuto una «progressiva espansione delle prerogative» che ne hanno stravolto il profilo attribuendogli un «sovraccarico decisionale». Nato sostanzialmente come organismo di gestione delle carriere per sottrarre queste ai condizionamenti dell’esecutivo, si è trasformato in un vero e proprio «organo di gestione del sistema giudiziario». Esso è divenuto titolare di fatto del potere di organizzazione degli uffici giudiziari, emana circolari e direttive vincolanti, da pareri anche non richiesti su qualsiasi provvedimento in materia di giustizia, non si sottrae all’uso di esprimere perfino giudizi di incostituzionalità. Il tutto adottando una logica interna di governo di tipo ferreamente lottizzato tra le correnti che lo compongono, nelle cui grazie politico-ideologiche bisogna assolutamente stare se si vuole essere nominati nei posti di maggiore prestigio. A mo’ di conclusione una domanda: ci si può scandalizzare perché di tutte le cose fin qui dette non sembra importare molto a quasi nessuno di quelli che potrebbero cambiarle, se non quando è qualcuno di loro personalmente che ci va di mezzo?