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 2013  giugno 20 Giovedì calendario

FARSA FINALE DI INGROIA: NON DA’ LE DIMISSIONI MA SI FARA’ MANDARE VIA

Niente dimissioni. Più sem­plicemente Antonio Ingroia non rientrerà oggi in ufficio, ad Aosta, al termine delle vacan­ze. E così decadrà dall’ordine giudiziario. Fine, si spera, della telenovela sull’uscita-non usci­ta del pm siciliano dalla magistratura. Anche se si tratta di una conclusione sconcertante, perché un mese fa Ingroia si era presentato ad Aosta, la sede as­segnatagli dal Csm, si era fatto fotografare insieme al procura­tore capo Marilinda Meneccia, aveva ricevuto da Valerio Staf­felli pure il Tapiro d’oro e, in­somma, pareva aver messo un punto alle sue interminabili pe­regrinazioni.
Invece no: la scelta, quella de­finitiva, è per la politica. «Saba­to a Roma - spiega Ingroia al Giornale - presenterò il mio nuovo movimento, Azione civi­le. Volto pagina. Anzi, la infor­mo che regalerò un mese circa di ferie allo Stato».
Ma allora perché Ingroia non ha mandato al Csm la sua lette­ra di addio? «Sono stufo - repli­ca lui - non ho più voglia di di­scussioni, di attese, di valutazio­ni. Questa procedura della de­cadenza è la più veloce, anche se qualcuno penserà il contra­rio. Me ne vado e la querelle si chiude. Senza se e senza ma, perché la norma è stata modifi­cata qualche tempo fa e non ci sarà spazio per ripensamenti o retromarce».
Addio dunque alla magistra­tura e avanti con il disegno di un nuovo soggetto dopo la disa­strosa p­rova di Rivoluzione civi­le e l’alleanza, che non ha porta­to bene, con i Diliberto, i Di Pie­tro, i Bonelli. Certo questo sla­lom fra l’Italia e il Guatemala, fra le elezioni e le procure, fra le intercettazioni e i comizi, non è il massimo per chi si considera­va un partigiano della Costitu­zione, quasi un sacerdote vota­to al culto della legalità. Lui, na­turalmente, sostiene di non aver niente di cui pentirsi ma or­mai la carriera di Ingroia era un susseguirsi di polemiche e scin­tille, anche dentro l’ordine giu­diziario cui ancora formalmen­te appartiene. Ingroia ha lascia­to Palermo e un’inchiesta deli­catissima, come quella sulla trattativa fra Stato e mafia, per andare in Guatemala, in prima linea contro la criminalità orga­nizzata. Lì è rimasto poche setti­mane, poi è tornato in Italia e fra annunci e smentite si è alla fi­ne lanciato alla conquista del­l’elettorato, varando Rivoluzio­ne civile. Un fiasco. A questo punto, sempre in un clima in­fuocato, Ingroia avrebbe dovu­to rientrare nei ranghi. E così è stato, ma giusto per una matti­na. Dopo l’ennesimo braccio di ferro, il 16 maggio scorso il ma­gistrato aveva raggiunto Aosta, l’unica città in cui non si era can­didato e dove il Csm l’aveva di­rottato, e aveva fatto un breve gi­ro nel Palazzo di giustizia. Lo aspettava una vita da pm di pro­vincia, appartato, dopo aver perso l’ennesima battaglia, quella per andare a combattere Cosa nostra a Torino.Non se l’è sentita.
E ora Ingroia si prepara ad ar­chiviare la sua prima vita. Per troppo tempo il quasi ex magi­strato ha provato a tenere insie­me due realtà inconciliabili: la vita da pm, e pm sotto i riflettori perché protagonista di inchie­ste importantissime, e l’altra da polemista, saggista, infine di un movimento. Impresa diffici­le e controversa, sul filo di una perenne confusione e sovrap­posizione di ruoli. Una situazio­ne insostenibile che gli ha pro­curato ulteriori antipatie e una segnalazione al Csm per «illeci­to disciplinare». Ormai la convi­venza del pm con l’ordine giudi­ziario appariva quasi impossi­bile: Ingroia ha tirato la corda fi­no a spezzarla. Ecco dunque l’epilogo.«Scriverò - spiega lui­una lettera al Csm, alla Procura di Aosta e al Ministero della giu­stizia per spiegare le ragioni del mio percorso. Lasciare la magistratura mi è costato molto».
Ingroia se ne va, restano i gua­sti di una lunga guerra. Anche l’ultima inchiesta, quella sul rapporto fra i boss e pezzi delle istituzioni, ha provocato un ter­remoto: le cimici hanno ascolta­to le telefonate del Quirinale. E la Consulta ha bacchettato i pm di Palermo provocando la rea­zione di Ingroia che ha evocato i «poteri forti» e ha parlato di «sentenza politica». Un corto­circuito continuo fino allo strappo finale.