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 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

MAXWELL, L’ALLEGRA SCIATTONA CHE INVENTO’ LO STILE CAFONAL

«Con quel canotto rosa così grosso non avrei paura di entrare in ac­qua » disse la giovane maharani al principe di Hesse che le sedeva a fianco sulla spiaggia. «Cielo, non è un gommone rosa» escla­mò questi agitato. «È Elsa Maxwell!». Elsa Maxwell aveva allora una settantina d’anni (morì nel 1963, a ottanta appena compiuti) ed era stata enorme fin da ragazza. A 16 anni aveva scoperto che baciare un uomo, anche bello, an­che gentile, le ripugnava, e bacia­re una ragazza anche. Messo da parte il sesso, come fosse un inuti­le fardello, aveva fatto lo stesso con il denaro: niente gioielli, niente proprietà, solo un conto in banca, ma perennemente in rosso. Da giovane venne definita la più grassa sciattona d’Ameri­ca e d’Europa, e trasformò la criti­ca in un vanto personale: «Chie­dete ai vecchi habitués dell’alta società parigina chi fosse la don­na meglio vestita nei primi anni Venti e avrete una dozzina di ri­sposte differenti, ma la palma del­la donn­a peggio vestita spetta indiscutibilmente a me». Nata in un paesino dello Iowa, Elsa si attenne fin da ragazza a quanto il padre, assicuratore con velleità giornalistiche e la passione per la musica e il teatro, le aveva detto in punto di morte: «Quando non ci sarò più, per te non sarà facile. Sei brutta e grassoccia e nel tempo peggiorerai. Però puoi trasformare il tuo aspetto in un vantag­gio: nessuna donna sarà gelosa di te, nessun uomo so­spettoso con te. Ti lascio come eredità quattro regole. 1)Non aver mai paura di quello che dirà la gente. La gente esiste soltanto nella tua paura. Quello che fai è l’unica cosa che conta. Quello che dice la gente non si­gnifica nulla. 2)Più possiedi e più sei posseduta. Mantieniti libera dalle cose materiali e godi la vita come viene. 3)Prendi legger­mente le cose serie. Prendi seria­mente le cose leggere. 4)Ridi sempre di te stessa prima che ne ridano gli altri.C’è qualcosa di ri­dicolo in ogni persona». Con que­sto viatico Elsa Maxwell fu tra le due guerre e poi negli anni Cinquanta del Novecento la più in­stancabile animatrice mondana apparsa sulla scena, deus ex ma­china degli scandali, organizza­trice e animatrice di pettegolez­zi, cattiverie, verità, divertimen­ti.
Di questa esistenza incredibi­le, cominciata facendo la pianista ai tempi del cinema muto, Ho sposato il mondo (Elliot, 377 pagi­ne, 17,50 euro) è un compendio allegro e stravagante e insieme l’epitaffio di un mondo scompar­so via via che la società, involga­rendosi, si incanagliva. «Ho visto da vicino tre genera­zioni di gente di mondo americana ed euro­pea, e ognuna è peggiore del­la precedente. Una volta, in Ame­rica, le notizie mondane fondamentali erano i matrimoni e le fe­ste di beneficenza. Oggi, i tram­polini usati dal gran mondo per farsi citare sui giornali sono i divorzi, gli scandali e le risse tra ubriachi.
Il comple­to abbandono di ogni dignità da parte di giovani che hanno godu­to dei cosiddetti vantaggi di una buona educazione è disgustoso. Le ragazze che circolano nei bar sono malate di mente e di spi­rito».
L’imperativo della Maxwell era l’allegria, ovvero, come notò Ce­cil Beaton con una pun­ta di snobismo, «il far sembrare poco distinte le persone distin­te». Dopo ogni sua festa, le foto­grafie scattate per l’occasione «facevano appa­rir­e le sue vitti­me mera­viglio­samente sciocche». A Londra die­de un party dove un mago orien­tale, Galli-Galli, tirò fuori dallo sparato della camicia di lord Cur­zon tre pulcini. Il resto della sera­ta vide gli invi­tati impe­gnati a soffiare su un lenzuolo per far vo­lare via una piuma… A una festa campestre, gli ospiti, vestiti da contadini, munsero una vacca ar­tificiale dalle mammelle piene di champagne… Da lei andavano Cary Grant e George Bernard Shaw, Gary Cooper e i duchi di Windsor, Greta Garbo e Charlie Chaplin… Molti sapevano esse­re ironici e ridere di se stessi. Sir Lionel Phillips, presidente della Central Mining Company di Johannesburg, era solito presen­tare il proprio ritratto facendo sua una frase di James Whistler: «L’immortale volgarità del sog­getto supera quasi quella del pit­tore »… La duchessa de La Roche­foucauld, che faceva notare alla principessa de Polignac come i loro due nomi si equivalessero, si sentì rispondere: «Non in calce a un assegno, tesoro». America­ne entrambe, entrambe ereditiere, la loro aristocrazia era del re­sto il frutto di matrimoni d’inte­resse… Altri erano portatori di umorismo involontario. Laura Corrigan, ex telefonista di Clev­e­land e poi vedova di un magnate dell’acciaio, si sentì chiedere se nella crociera per il Mediterra­neo che si apprestava a fare avrebbe visitato i Dardanelli. «Ho qualche lettera di presenta­zione per loro» fu la risposta,«ma non ho il tempo per andarli a tro­vare».
Stando alle memorie del mai­tre del Ritz, Olivier, erano solo tre le persone da lui servite che sa­pessero ordinare un pranzo co­me si deve: il principe di Galles, il principe Esterhazy d’Ungheria e Elsa Maxwell. Autodidatta in materia, Elsa aveva cominciato co­piando. Nel 1919, fu chiamata a organizzare, proprio al Ritz, una cena per otto in onore di lord Bal­four, allora ministro degli Esteri inglese. Andò alla sede parigi­na del New York Herald­e an­notò il menu che Boni de Ca­stellane aveva ordinato per un suo pranzo sontuoso prima della guerra e che aveva fatto epoca; impa­rò a­ memoria i nomi del­le portate e l’anno dei vini e poi andò da Oli­vier, che già allora imperava in quelle sale. «Questi co­minciò a scrivere con aria malinco­nica la mia ordi­nazione su un blocchetto, ma dopo aver appuntato le prime due portate mise da parte la matita guardandomi fis­sa. Quando ebbi elencato a fatica tut­ta la lista, Olivier si alzò in piedi inchi­nandosi rigidamen­te dalla vita in su. “A questo menu, made­moiselle, manca una cosa sola per essere perfetto, la fir­ma del marchese de Castellane” disse seccamente».
Fu Elsa Maxwell a presenta­re Rita Hayworth al principe Ali Khan e Maria Callas a Ari­stotele Onassis. Il suo potere di fascinazione sui ricchi nasce­va dal ritenerli «le persone più povere che io conosca. Ho por­tato in quel mondo una nuova capacità di cordialità e di gaiez­za ­che offriva possibilità impen­sate di evasione dalla loro noia foderata di velluto». Dopo esse­re s­tata a chiacchierare con Sig­mund Freud, si sentì dire: «Lei è una donna che non soffrirà di nevrosi». Morì vecchia e grassa, per un attacco di cuo­re.