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 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

«LA LETTERATURA DI OGGI? BELLA MA EFFIMERA, COME L’INTRATTENIMENTO»

Cesare De Michelis, 70 anni, italianista emerito e presidente di Marsilio, è en­trato in Università nel 1961, do­cente di Letteratura italiana a Padova. Lunedì ha tenuto la sua ultima lezione accademi­ca: Ascesa e caduta della gran­de letteratura italiana. Cos’è cambiato, in 50 anni, nelle nostre Università?
«Tutto. L’università è diventa­ta una macchina burocratica, un esamificio, anzi un dottorificio... Non ci so­no più le facol­tà, ma “itinera­ri di studio”, percorsi chia­mati “professionalizzan­ti”. Ma lo so­no? ».
Lo sono?
«L’Universi­tà un tempo era un luogo in cui s’incro­ciavano ricer­ca e insegna­mento, e così i professori po­tevano testare i risultati del proprio lavo­ro di studiosi confrontando­si con gli stu­denti. Oggi l’Università ha ridotto le proprie ambi­zioni, i crediti sono diventa­ti la misura del sapere, gli esa­mi sono sem­pre più in quantità e sempre meno in qualità. L’università è diventata una comunità di massa. È un bene certo...».
Ma anche un male.
«Si è “liceiz­zata”. Si va lì, si studiano cen­to pagine di Storia della let­teratura, cento di Filosofia e in questo modo si dovrebbe impa­rare un mestiere. Un’illusione».
Lei dice che l’Umanesimo è morto, e questo è un guaio «Io dico che lo scientismo ha trionfato, e questo è il guaio. La letteratura non è uno strumento scientifico per interpretare la re­altà, ma un luogo in cui la paro­la, cioè la massima espressione dell’Uomo, s’incontra con la me­moria e la riflessione, da cui na­sce il giudizio...».
Sta dicendo che il problema della felicità, l’uomo non lo risolve con la Scienza.
«Questo non significa denigra­re la Scienza. Si ricordi le Invetti­ve contro un medico di Petrarca. Dal medico ci vado, quando so­no malato, ma non è lui, non è lo scienziato l’artefice del nostro futuro. L’Umanesimo aveva la pretesa di mettere assieme tutte le parti della nostra vita, ricon­durre l’uomo all’unità. La Scien­za, o almeno lo scientismo, lo fa a pezzi. Lo so che è importante smontare l’orologio per vedere come funziona, ma poi l’orologio deve dare l’ora giusta, e noi dare un senso al tempo. Abbia­mo perso l’idea di unità e di tra­dizione».
Professore, mi sta diventan­do reazionario?
«Ma no, i reazionari sono i ri­voluzionari che credono di cam­biare il mondo. Io ho fiducia nel futuro, dico solo che credo più alla tradizione che all’innova­zione. Oggi siamo come dopo un terremoto: non si ricostrui­sce la città da zero, ma recupe­rando quello che avevamo pri­ma, salvando i pezzi: avremo un Paese nuovo, ma con la memo­ria dell’antico».
È in crisi anche la letteratu­ra. Lei dice che col ’900 ci si è convinti di non averne biso­gno, e questa si è svilita.
«È stata l’avanguardia, dai fu­turisti al Gruppo 63, a dire che la letteratura parlava solo di sé, a farne un esercizio critico della letteratura stessa... Un meccani­smo perverso che ha fatto sì che l’unica letteratura “commercia­le” sia quella che “intrattiene”:il giallo, il rosa...».
Il nome della rosa ...
«Eco è il trionfo italiano del­l’intrattenimento. Un punto di svolta: nell’81 vinse lo Strega, e così vinse l’idea che la letteratu­ra voleva essere quella cosa lì e nient’altro.Un libro intelligente e riuscito, certo. Ma fatto per pia­cere. E infatti l’ha comprato Hol­lywood. Mentre nessuno ha fat­to un film dall’ Ulisse di Joyce».
Diceva dei libri “di gene­re”...
«Non sono libri stupidi, ma li­bri che non sono destinati a du­rare. Gli autori ormai scrivono un romanzo ogni due anni. Manzo­ni scrisse un ro­manzo solo per­ché sapeva che lì dentro c’era tut­to. Quello delle avanguardie è stato un tentati­vo di togliere cre­dibilità alla lette­ratura della tradizione, di farla fuori».
Ci è riuscita?
«Sì, batti e ribatti è passata l’idea che la letteratura non sia un luogo speciale dove risiede il patrimonio della tradizione, ma un prodotto come tanti, co­me i fumetti o la musica. Una letteratura estetizzante... Ma la let­teratura non è bella, la letteratu­ra è vera e buona».
E ora ci troviamo impotenti ad affrontare la nuova crisi.
«Noi pensiamo che questa cri­si sia un problema degli econo­misti, invece è un problema dei letterati. È come la peste del Tre­cento, da cui nacque l’Umanesi­mo. Ma quella peste non la vin­sero i medici, la vinse il Decame­ron di Boccaccio. Fu la letteratu­ra a guidare di nuovo il destino degli uomini. Oggi servirebbe la stessa cosa. Invece la letteratura è ridotta a fatto estetico o intrat­tenimento, bella ma effimera».
Eccezioni?
«Ci sono, ma manca un vero progetto. Leggo tanti autori inte­ressanti, ma nessuno che mi fac­cia dire: va bene, si riparte da qui».
Neppure i libri allo Strega quest’anno: Cappelli, Siti...
«Vuole che le dica se mi piac­ciono o no? Sì, va bene. Ma non sono mica Nievo. Non sono chia­vi ­universali per risolvere proble­mi. Se a Dante fai una domanda, ti risponde. Questi, mah...».