Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

L’ITALIANO TERRORISTA NON E’ SOLO: CACCIA A 20 ESTREMISTI NOSTRANI

Giuliano «Ibrahim» Delnevo è il primo italiano diventato terrorista in nome di Allah. Era indagato a Genova per terrorismo con un altro italiano. Stu­diava storia, poi la barba e la tunica. Infine i viaggi all’estero per addestrarsi.
«Tre cose accompa­gnano un ­uomo nel­la sua tomba i suoi fa­miliari, le sue ricchezze e le sue azioni. Familiari e ricchezze dopo la sepoltura torna­no indietro. Le sue azioni resta­no». Giuliano Ibrahim Delnevo legge quell’hadi­th, quel detto del Profeta, davanti al mare della sua Genova. Lo ripete con il tono, l’aspetto e la par­tecipazione di chi recita un testa­mento. Ora nella sua tomba, se ce n’è una tra le arse zolle della Siria, sono rimaste vera­mente solo le sue azioni. Le azioni di un giovane ita­liano di 24 anni che non pago di aver - 4 anni fa - abbracciato l’islam sceglie di praticar­lo nella fo­rma più estrema unen­dosi ai ribelli jihadisti in lotta con Damasco. Non tornerà a raccon­tarcelo. Non sapremo mai cosa lo abbia spinto a quella scelta est rema.
Di lui resta assai poco. A Geno­va, la sua città, due genitori sepa­rati e un fratello che continuano a chiedersi perché. Sul web quei video con il suo volto e la sua vo­ce. L’immagine, la parola di un giovane inebriato dalla fede, ma a prima vista pacato nei toni e nei modi. Una voce sommessa, un volto incorniciato da una lunga barba, l’immagine di un marcan­tonio in tunica bianca e sandali che tanti genovesi avevano incro­ciato tra i viottoli dei carruggi, do­ve abita la madre Eva Guerriero (insegnante di francese) e i giardi­ni Luzzati. Eppure adesso sia l’imam Salah Hussein, sia il resto della comunità islamica di Genova giurano di non ricordarlo. «Lo conoscevo di vista, nessuno mi aveva parlato della sua scelta- ri­pete l’imam - l’avevo incontrato a una festa di fine Ramadan, in­dossava un abito arabo lungo con turbante. Quando ho saputo cos’è successo in Siria, l’ho rico­nosciuto dalla foto su internet. Il suo nome non mi diceva nulla».
Eppure stando a quanto rac­contava lunedì a il Giornale il diri­gente dell’Ucoi ( Unione comuni­tà islamiche) Hamza Roberto Piccardo, qualcuno all’interno della comunità islamica di Geno­va e dintorni sapeva che Giulia­no Ibrahim stava combattendo in Siria. Chi lo frequentava intui­va che dietro il ridimensiona­mento di quella barba ieratica trasformatosi in un pizzo sobrio e discreto non c’era una ritrovata moderazione, ma la necessità di muoversi tra aeroporti, frontiere e posti di blocco. Non che polizia e intelligence non lo conoscesse­ro. «A Genova - racconta il procu­ratore capo della città Michele Di Lecce - era indagato per arruo­lamento con finalità di terrori­smo anche internazionale». E l’indagine condotta dai magi­strati Silvio Franz e Nicola Pia­cente riguardava almeno un al­tro italiano convertito e quattro maghrebini. Ma sarebbero venti le persone sorvegliate dai nostri servizi per il coinvolgimento con la ribellione siriana. Un’indagi­ne estremamente seria ed in­quietante che ipotizza il reato di reclutamento per fini di terrori­smo e legami con «Sharia4», un’organizzazione fondamentalista na­ta in Belgio di cui qualche tempo fa è stato fermato in Italia un aderente di origine maroc­china.
«L’addestra­mento se c’è stato – spiega il procu­ratore Di Lecce - è avvenuto all’este­ro… Tutta l’attivi­tà era proiettata sull’estero». E dal­l’estero inizia il grande salto di Giuliano, ex studente della facol­tà di Storia. Prima in Marocco dove viaggia spesso e sposa anche una ragazza. Poi a fine della scorsa esta­te, al confine tra Turchia e Siria dove viene segna­lato dai nostri servizi. In quella prima, ma fatale immersione nel conflitto siriano Giuliano Ibrahim conosce i salafiti ceceni impegnati a trasferire la jihad tra le rive dell’Oronte. In quella pri­ma discesa nel girone della guer­ra, il ragazzo dal volto triste com­pie la sua metamorfosi. «Siamo terroristi e il terrore è un obbligo nel credo di Allah» scrive a set­tembre citando Abdullah Azzam, il predicatore palestinese mentore di Osama Bin Laden. Da lì in poi il tuffo nei gironi del fa­natismo. Il 26 marzo la sua imma­gine su Facebook viene sostitui­ta dal simbolo del Kavkaz Cen­ter, una delle coperture usate dai militanti fondamentalisti ceceni per diffondere i loro proclami. E da quel momento su Giuliano Ibrahim cala il buio.