An. S., il Giornale 20/6/2013, 20 giugno 2013
LA FORMULA DEL 3% PUO’ FRUTTARE 17 MILIARDI
Al massimo mezzo punto di Pil. Sette o otto miliardi, da spendere in poche selezionate operazioni oppure 17 miliardi da utilizzare per lo sviluppo, lavoro e fisco?
All’esterno non appare, anche perché il governo preferisce giocare a carte coperte fino al Consiglio europeo di fine mese. Ma gli spazi per andare un po’ oltre i limiti europei favorire la crescita ci sono. E non da oggi. Sul tesoretto che si libererà grazie all’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione si era scatenata già qualche settimana uno scontro tra due filosofie che investe le cifre e anche la destinazione delle risorse che arriveranno nel 2014.
C’è una versione minima e il ragionamento è questo. Non siamo più nella lista dei cattivi e Bruxelles ci concede spesa in deficit, secondo lo stesso meccanismo utilizzato nel 2013 per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Ma il prossimo anno da un rapporto tra disavanzo e Pil ufficiale del 1,8% potremo arrivare al massimo al 2,3%-2,5%, per rispettare gli impegni sul pareggio strutturale di bilancio.
Secondo l’altra concezione, quella più ottimistica, nessuno vuole limitarci al 2,3%, nemmeno i partner europei più rigoristi ci potranno impedire di ripetere quello che è stato fatto nel 2013 per pagare i debiti della Pa verso i privati. «Possiamo arrivare al 2,9%», assicura una qualificata fonte del governo. Anche perché paesi ben più pesanti del nostro, come la Francia, sono sopra la soglia del 3% e hanno ottenuto più tempo per tornare sotto il limite che noi già rispettiamo.
Secondo questo ragionamento ci sarebbe quindi uno 0,6% di Pil in più da spendere rispetto alle previsioni. E non è poco. Sono, all’incirca, altri 9-10 miliardi di euro che portano la cifra complessiva intorno ai 16-17 miliardi di euro. Cifra che potrebbe aumentare per i progetti cofinanziati dalla Ue. Sempre che - e questo è un altro argomento di chi sostiene la versione minima, quella dei 7 o meno miliardi - le previsioni di crescita e di deficit siano rispettate.
Altro fronte è appunto quello dell’utilizzo delle risorse. Allo stato è escluso che possano andare al taglio del cuneo fiscale, che stanno chiedendo a gran voce gli industriali (Confindustria ha chiesto una terapia d’urto da 12 miliardi solo nel 2014) e il Pdl, che vorrebbe l’azzeramento di tasse e contributi per le nuove assunzioni. L’Europa, è la tesi di Palazzo Chigi, non ci permette di tagliare le tasse. Al massimo ci fa cofinanziare progetti europei per i giovani e quelli per investimenti produttivi, che comunque,in seconda battuta, favoriscono l’occupazione. Il punto è che anche sul «come» verranno spese le risorse, l’Italia dovrà trattare. E fare valere le proprie ragioni, come del resto fanno gli altri partner europei.