Massimo Fini, il Fatto Quotidiano 20/6/2013, 20 giugno 2013
OBAMA IN GINOCCHIO E LA VENDETTA DEL MULLAH OMAR
Dall’inconcludente vertice irlandese fra i cosiddetti “grandi della Terra” la notizia vera è uscita solo all’ultimo, quando Obama ha annunciato ufficialmente che a Doha, capitale del Qatar, erano iniziate le trattative con i Talebani per negoziare una pace in Afghanistan. Per non sputtanarsi oltremisura, Obama ha affermato, attraverso i suoi consiglieri, che le trattative non saranno condotte direttamente dagli americani, ma dal governo Karzai con la Commissione politica talebana che ha ricevuto l’imprimatur del Mullah Omar, il capo della guerriglia. Ma è una copertura di facciata, perché Karzai non conta niente, è un presidente-fantoccio alle dipendenze del Dipartimento di Stato Usa. Le trattative saranno dirette fra americani e Talebani. Del resto l’annuncio di Obama arriva dopo due anni di contatti sottobanco, da quando l’Emirato islamico d’Afghanistan aveva aperto una sua sede diplomatica a Doha proprio per poter negoziare in territorio neutro. Peraltro non è la prima volta che gli americani cercano di agganciare i Talebani. Ci provarono già nel 2005 quando la guerriglia, organizzata da Omar, era appena all’inizio della controffensiva. Proposero un’amnistia per i guerriglieri che avessero deposto le armi. Ma gli era andata male.
IN PRATICA NESSUN COMANDANTE talebano si era arreso. Dei 142 leader inseriti nella “lista nera” del Consiglio di Sicurezza dell’Onu solo 12 figure marginali avevano accettato di deporre le armi (salvo riprenderle in seguito, dopo che i missili Nato avevano ucciso un fratello o un figlio). Ci avevano riprovato nel 2010, quando ormai i Talebani controllavano il 75% del territorio. Le condizioni degli americani erano queste: “Prima i Talebani disarmano e accettano la Costituzione, poi si potrà avviare un dialogo”. La proposta era estesa a tutti i leader talebani escluso il Mullah Omar considerato “inidoneo” per una conciliazione nazionale. Aveva fatto notare Wakil Muttawakil ex ministro degli Esteri del Mullah Omar: “Una volta che i Talebani avranno deposto le armi e accettato la Costituzione che cosa ci sarà ancora da discutere?”. Naturalmente non se ne fece nulla. E ci avevano riprovato di nuovo costituendo un grottesco Consiglio di pace dove sostenevano che erano entrati anche alcuni leader talebani, in realtà scartine raccattate per le strade di Kabul (in quell’occasione, ridotti alla disperazione, gli Usa avevano chiesto aiuto anche all’“arcinemico” Iran). Tutti questi tentativi erano falliti perché gli americani si erano sempre rifiutati di trattare con il Mullah Omar, il capo indiscusso (e prestigioso agli occhi degli afghani) della guerriglia. E la novità dell’annuncio di Obama è proprio questa: gli americani piegano le ginocchia e accettano di trattare con Omar, “il mostro”, “il criminale”, il leader di “un movimento spaventoso, motivato da una orribile ideologia” come si esprime ancora oggi il neocon Paul Berman. L’annuncio di Obama cela, malamente, una cocente sconfitta. Degli americani e della Nato. In 12 anni di guerra, la più lunga dei tempi moderni, il più potente e tecnologico esercito del mondo non è riuscito a piegare “un pugno di criminali e terroristi” che ha anzi riconquistato tutta l’immensa area rurale dell’Afghanistan, circa l’80% del Paese. E questo è potuto avvenire perché, come ho scritto tante volte, i Talebani, e più in generale gli insorti (agli uomini del Mullah Omar si sono aggiunti altri gruppi) godono dell’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione afghana, storicamente insofferente all’occupazione dello straniero, comunque motivata (vedi gli inglesi, nell’Ottocento, e sovietici, nel Novecento). Ma ora la situazione è di stallo. I Talebani non possono conquistare le città (Kabul, Herat, Mazar-i Sharif, a Kandahar culla del movimento talebano la situazione è un po’ diversa) data l’enorme sproporzione degli armamenti. D’altro canto gli americani hanno l’assoluta necessità di venir via perché non possono più permettersi di spendere 40 miliardi di dollari l’anno per una guerra che non potranno mai vincere. Ecco il perché dei negoziati. Che si presentano difficilissimi. Gli americani, benché perdenti, per levarsi dai piedi pongono delle condizioni. 1) Rottura di tutti i rapporti con al Qaeda. 2) Fine degli attacchi in Afghanistan. 3) Riconoscimento della Costituzione del 2004. Poi ce n’è una quarta non detta: gli americani vogliono lasciare tre o quattro basi aeree per poter continuare comunque a controllare il Paese. Sul primo punto non c’è problema. I Talebani non sono mai stati terroristi internazionali. Osama bin Laden se lo sono trovati in casa, ce lo aveva portato il nobile Massud per combattere un altro “signore della guerra”, Hekmatyar. Osama bin Laden di cui Omar non aveva alcuna considerazione (lo definiva “un piccolo uomo”) è sempre stato un problema di cui si sarebbe volentieri liberato. Tanto è vero che quando nel 1998 Bill Clinton gli propose di farlo fuori si dichiarò disponibile. Fu poi Clinton a tirarsi indietro (Documenti del Dipartimento di Stato). Se nel 2001, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, si rifiutò di consegnarlo agli americani fu per una questione di principio e di dignità nazionale. Il governo afghano chiese infatti agli Stati Uniti delle prove che effettivamente Bin Laden era alle spalle degli attentati e una seria inchiesta internazionale. Gli americani risposero: “Le prove le abbiamo date ai nostri alleati”. A questo punto il governo afgano, come avrebbe fatto qualsiasi altro governo, si rifiutò di consegnare, su queste basi, un uomo che era comunque sotto la loro giurisdizione. In ogni caso se in Afghanistan si ripresentassero degli arabi jihadisti Omar sarebbe il primo a cacciarli a pedate, visto che a causa loro s’è giocato il potere e l’intera esistenza. Comunque, se questo è il problema, il Mullah Omar, a quanto ne so, è disposto ad accettare ispezioni dell’Onu che controllino che in Afghanistan non si ricostituiscano basi del terrore. Quello che non può assolutamente accettare è la Costituzione del 2004, ispirata alle istituzioni, ai valori, ai costumi dell’Occidente. Perché ha combattuto proprio per preservare le istituzioni della tradizione afgana, i suoi usi, i suoi valori, la sua essenza. Infine, ed è il punto più critico, il Mullah Omar vuole che alla fine dei negoziati non un solo soldato straniero calchi il suolo afgano. Non ha combattuto più di 30 dei suoi 53 anni di vita per la libertà del suo Paese, prima, giovanissimo, contro gli invasori sovietici, lasciandoci un occhio, poi contro gli arbitrii, i soprusi, le violenze dei “signori della guerra” (Massud, Dostum, Eckmatyar, Ismail Khan) e, da ultimo, contro gli occupanti occidentali, sacrificando la sua intera esistenza, per vedersi imporre, alla fine, una “pax americana”.