Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 19/6/2013, 19 giugno 2013
ECCO L’OPERAZIONE SMONTA RAI
Oggi è automatico pensare al servizio pubblico televisivo e dire viale Mazzini, Rai. Ma questa mattina, in commissione Cultura a Montecitorio, il viceministro Antonio Catricalà farà un annuncio: il 6 maggio 2016 scadrà la concessione che fa di Rai la televisione pubblica e il governo lavora a un percorso per ridefinire il rapporto fra la Rai e lo Stato e non esclude un bando aperto al mercato. Il canone non sarà più la garanzia esclusiva di viale Mazzini.
I quasi due miliardi di euro di tasse, 1,75 per l’esattezza, non andranno verso la Rai senza nulla in cambio per i prossimi vent’anni.
Il governo di Mario Monti s’era avvicinato con timore a viale Mazzini, adesso ci provano il ministro Flavio Zanonato e il viceministro Catricalà, un uomo di tanti incarichi che si definisce “garzone” di Stato, già sottosegretario di Monti. Catricalà non è stato mai ostile a qualcuno, nemmeno a Silvio Berlusconi, il padrone di Mediaset e di un partito.
IL MINISTERO per lo Sviluppo, complice il rinnovo del contratto di servizio, cioè quel documento che giustifica l’abbonamento, vuole aprire il cantiere “televisione pubblica”: i consumatori, i sindacati, le associazioni, i dipendenti, i parlamentari in Vigilanza e ovviamente gli abbonati dovranno rispondere al quesito del governo: “che tv vorrete guardare e pagare?”.
La Rai verrà smontata, ci sarà un’autopsia collettiva che potrebbe spingere verso il bando oppure la vendita di un pezzo del patrimonio di viale Mazzini. I berlusconiani, lungimiranti, sono schierati in Vigilanza. In quel luogo dove il potere si esercita soltanto per nominare il Consiglio di amministrazione, passerà il progetto di Catricalà e i vari Maurizio Gasparri, Augusto Minzolini, Paolo Romani, Renato Brunetta e Renato Schifani saranno pronti ad agguantarlo. E poi c’è il sentimento nazional popolare che il ministero vuole solleticare per avere dai cittadini il profilo del prossimo servizio pubblico televisivo. E non è un mistero che tanti italiani, compreso il Movimento Cinque Stelle che presiede la Vigilanza con Roberto Fico, vorrebbero ridimensionare la Rai per ridurre il canone, che quest’anno ha superato i 113 euro. È fresco lo studio di Mediobanca che calcola in 2,6 miliardi di euro per lo Stato i benefici di un’eventuale privatizzazione in blocco. Il ministero prepara un tormentone lungo due anni. Ci saranno convegni con esperti, incontri in provincia, seminari, analisi: “Un grande movimento nazionale – spiegano – che ricorda l’operazione inglese Bbc che mobilitò il Paese. Perché non si possono congelare 1,7 miliardi l’anno più l’inflazione”.
L’INTENZIONE del ministero, però, non è quello di smobilitare la televisione pubblica: vogliono neutralizzare lo sperpero e recuperare l’evasione di oltre il 20% del canone. Sanno, però, che non possono chiedere uno sforzo economico senza adeguare l’offerta. E così, nei ragionamenti con i suoi collaboratori e i suoi interlocutori, pronto a motivare i suoi programmi in Parlamento, il viceministro Catricalà raccontano che ripeta spesso: “Nel mondo delle cose possibili, si può anche ritenere valida la possibilità di fare un bando pubblico e affidare la concessione statale al migliore”.
Il mercato televisivo italiano non consente grosse varietà: a parte viale Mazzini, giudicando improbabile una discesa dal satellite di Sky, restano Mediaset e in seconda battuta La7. Per il governo precario di larghe intese, che in questa circostanza va oltre le proprie congenite scadenze, buttarsi su viale Mazzini significa correre un bel rischio e consegnare una buona notizia a Silvio Berlusconi.
Non sarà semplice organizzare un bando e mettere in agitazione i 13 mila dipendenti di viale Mazzini, ma la riforma popolare, cioè il coinvolgimento diretto dei cittadini, fa immaginare – nel bene e nel male – che avremo una Rai diversa.
E questo non fa mai dispiacere al politico-imprenditore-concorrente di Arcore.