Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 20/06/2013, 20 giugno 2013
SIMBOLI, LITI E UN PATTO (DURATO 10 GIORNI): «SCELTA CIVICA E’ IN COCCI» — I
cronisti incaricati di seguire le vicende di Scelta civica si comportano ormai come gli inviati che raccontavano la Beirut degli anni Ottanta.
Primo: cercare di capire chi sta contro chi. Secondo: non credere mai a chi giura di dirti la verità. Terzo: non avere paura di telefonare nemmeno a uno come Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc, un ciociaro di Arcinazzo Romano furbo e anche, se vuole, ruvido.
Comunque, passare subito da Cesa è abbastanza obbligatorio. L’altro pomeriggio ha risposto a Mario Monti con durezza forse definitiva.
«E certo! E ci mancava pure che restassimo zitti! Ma come? Dovevamo fondare un partito insieme e all’improvviso quello invece va in conferenza stampa e osa dire che noi dell’Udc cerchiamo solo quote di potere... No, dico: siamo impazziti?».
Adesso che può succedere?
«O c’è un chiarimento, oppure questa esperienza con Monti, per noi, può considerarsi chiusa. In ogni caso, tanto per essere precisi, noi chiederemo subito che nei simboli dei gruppi, in Parlamento, accanto alla scritta "Scelta civica" venga aggiunto il simbolo "Udc"».
Va bene, è chiaro: siete già ai cocci.
«Ma non è colpa nostra! Sono loro che dovrebbero spiegarci le ragioni di un simile violento voltafaccia ... Ecco qui: sa cos’è questa? È la lettera che il coordinatore politico di Scelta civica Andrea Olivero mi ha spedito appena lo scorso 8 giugno. C’è, dettagliato, il piano per creare un nuovo soggetto politico. Congressi, assemblee, tesseramento. Perché hanno cambiato idea?».
La spiegazione più semplicistica è che Monti voglia negoziare la nascita di un nuovo soggetto politico con l’Udc da una posizione di forza, e dunque abbia bisogno di altro tempo per strutturare il suo attuale partito. Pierferdinando Casini, al contrario, ha fretta. Non vuole restare incastrato. E se deve venir via dal progetto messo su con Monti, sa che prima esce, più settimane avrà per riposizionarsi politicamente (del resto molti dei suoi spingono per tornare rapidamente sotto lo scudo crociato: la sortita di Paola Binetti, con mozione sull’aborto diversa e distante da quella della collega Irene Tinagli, conteneva anche e soprattutto questo messaggio. E lasciamo stare che il ministro Gianpiero D’Alia ha ricominciato a farsi riprendere alla tv sotto il simbolo dell’Udc).
La scena, descritta così, sarebbe già sufficientemente ingarbugliata. Ma il peggio dovete leggerlo.
Allora: non c’è giorno che passi, senza che Monti non debba mettersi al cellulare per placare le liti (furibonde) che si scatenano tra i suoi parlamentari. A volte si tratta di liti provocate da purissimo stato di frustrazione. Dalla sensazione forte di non incidere nel dibattito politico. Di non essere quasi mai nei titoli dei giornali, di non avere richieste per interviste, di dichiarare cose pazzesche alle agenzie di stampa per finire poi — a malapena — in qualche box nascosto.
Più spesso, Monti è costretto a intervenire per sedare le zuffe che tra le sue falangi (tanto per restare nell’immaginario da guerriglia libanese) divampano invece per ragioni di appartenenza ideologica: i cattolici e più strettamente montiani contro gli altri di più rigorosa osservanza montezemoliana.
A volte, l’intervento del Professore riesce a placare le ire; altre, no.
L’altro giorno Andrea Olivero spiega che il partito dovrebbe guardare con interesse a ciò che accade nel Movimento 5 Stelle e immediata arriva la risposta durissima, il no di Andrea Romano, già direttore di Italia Futura, la fondazione-laboratorio creata da Montezemolo. Replica di Olivero: «Forse Romano è disconnesso da Scelta civica».
Insomma, nonostante la maggior parte dei montiani sia consapevole, dopo settimane di messaggi piuttosto eloquenti, che il viaggio con Luca Cordero di Montezemolo sia di fatto concluso, gli insulti continuano a volteggiare pubblicamente, nessuno prova imbarazzo a dimostrare forme varie di reciproco disprezzo e i toni sono ormai davvero così forti che non pochi deputati e senatori, pure legati al Professore, avrebbero cominciato a guardare con crescente curiosità le mosse di Matteo Renzi.
Può bastare?
No, non basta. C’è altro.
Negli uffici dell’Udc hanno messo al lavoro tecnici ed esperti di flussi elettorali, e cosa hanno scoperto? Secondo i risultati consegnati a Pierferdinando Casini, se l’Udc di fosse presentata da sola nella passata tornata elettorale avrebbe, «nel peggiore dei casi», raggiunto il 4,8%. Da qui, il rammarico di «aver prestato sangue a Monti». Usano esattamente questa metafora brutale. «Sì, perché gli abbiamo prestato un sacco di voti, e per noi i voti sono sangue». Poi ti chiedono di non scriverla. Al massimo, si può evitare di scrivere il nome e il cognome di chi l’ha detta.
Fabrizio Roncone