Jason Horowitz, IL 20/6/2013, 20 giugno 2013
LA NOTIZIA DI HILLARY 2016 NON È ESAGERATA
All’inizio di maggio Bill Clinton e Bill Gates erano seduti su un palco in un bell’auditorium nei pressi della Constitution Avenue a Washington, per discutere di come risolvere i problemi economici del pianeta. Avevano molte cose brillanti e interessanti da dire, ma solo quando il moderatore, quasi scusandosi, gli ha chiesto delle ambizioni delle rispettive mogli, gli economisti e uomini d’affari in abito scuro presenti tra il pubblico hanno aguzzato le orecchie, e i giornalisti annoiati hanno afferrato i loro registratori.
Clinton, dopo una pausa che ha disorientato i presenti, ha affrontato la domanda a cui tutta Washington, tutti gli Stati Uniti e in pratica tutto il mondo, vuole una risposta: Hillary Clinton correrà di nuovo per la Casa Bianca? «Non so che cosa succederà, ma so una cosa», ha detto l’ex presidente, «che non c’è modo peggiore di impiegare il nostro tempo».
Voleva dire che faremmo meglio a occuparci di problemi più seri. Ma forse voleva dire anche che tutte queste speculazioni sulle chance di vittoria di sua moglie sono, per Hillary, il modo peggiore per impiegare il tempo.
Hillary Clinton è già trattata come la candidata democratica in pectore. Ha concluso la sua esperienza come segretario di Stato con indici di approvazione stratosferici, senza aver fatto nulla per convincere gli attenti osservatori delle vicende clintoniane – fra cui il sottoscritto – che è di nuovo «qui per vincere», come disse nel 2007 al momento dell’annuncio della sua candidatura alla Casa Bianca.
Negli ultimi tempi ho parlato con decine di veterani di Hillaryland, la cerchia di consiglieri che segue Hillary da quando è sulla scena politica, e la sensazione dominante è che voglia provarci (Il fatto che il suo portavoce abbia surrettiziamente consigliato ai suddetti veterani di pompare Hillary in pubblico non fa che confermare questa sensazione.) Persone particolarmente vicine alla coppia più potente d’America dicono che le sue nuove posizioni su temi come i matrimoni gay e i suoi discorsi in Florida e Michigan non significano necessariamente che voglia candidarsi, però significano che non vuole fare nulla che possa impedirle di vincere nel caso dovesse decidere di candidarsi.
Tutta questa storia è terribilmente frustrante per altri Democratici ambiziosi, come Andrew Cuomo, il governatore dello Stato di New York, che con Hillary Clinton in ballo hanno poche chance di guadagnare visibilità, raccogliere fondi e avere respiro politico. Finché Hillary è l’argomento A, non c’è argomento B. La controindicazione di tutta questa attenzione mediatica è che tornano sotto i riflettori tutti gli aspetti meno convincenti dell’ex First lady, quelli che la gente aveva dimenticato. Per esempio il fatto che nel 2008 ha condotto una delle campagne presidenziali peggiori della storia recente, sperperando denaro, seminando zizzania fra il suo staff e rivelandosi una manager scadente, con un’idea poco chiara di come funzionano effettivamente le primarie democratiche (c’è anche da dire che Barack Obama è stato… inaspettato.) È significativo che i cervelli della sua ultima campagna mi abbiano detto di non avere la minima intenzione di farne un’altra insieme a lei: il che solleva l’interrogativo, molto concreto, sulla possibilità che la candidata che tutti (di nuovo) considerano predestinata alla vittoria riesca a mettere insieme una squadra vincente. Nessuno arriva alla nomination presidenziale senza sudare.
L’ultima ragione del perché tutti questi discorsi sulla candidatura di Hillary sono (citando Bill) «il modo peggiore di impiegare il nostro tempo» è che fanno dell’ex first lady un bersaglio fin troppo facile per quei Repubblicani che danno per scontato che sarà lei la prossima candidata alla Casa Bianca. È Hillary, non Obama, il motivo per cui i Repubblicani sono così ossessionati dai tragici fatti di Bengasi. Da mesi la cassa di risonanza conservatrice sferraglia di voci di scandali e complotti, ma quando ai giornali sono arrivate le email manipolate ad arte per creare la falsa impressione di un tentativo di insabbiamento, lo pseudo-scandalo è salito agli onori della cronaca nazionale. La Casa Bianca alla fine ha pubblicato tutte le email, svelando un braccio di ferro fra due burocrazie, il Dipartimento di Stato e la Cia, ma nessun turpe insabbiamento. Questo non ha scoraggiato i Repubblicani, che continuano ad aggrapparsi a Bengasi perché è la migliore arma a disposizione per colpire Hillary.
Fra i Democratici l’ex segretario di Stato è inattaccabile, ma per i Repubblicani è uno dei bersagli preferiti, e alcuni dei suoi potenziali avversari da quel lato stanno ravvivando questa tradizione nella speranza di usare i prematuri discorsi sulla sua candidatura per azzopparla o eliminarla del tutto dalla corsa alla Casa Bianca. In un editoriale sul conservatore Washington Times, Rand Paul, il senatore del Kentucky, che coltiva anche lui ambizioni per il 2016, ha dichiarato che dopo quello che è successo a Bengasi «la signora Clinton non dovrebbe mai più ricoprire nessun incarico di alto profilo».
(Traduzione di Fabio Galimberti)