Massimo L. Salvadori, la Repubblica 20/6/2013, 20 giugno 2013
DA SILLA A STALIN LA SINDROME STORICA DEL “PURIFICATORE”
Eliminare per purificare, isolare la fonte del male per preservare intatta quella del bene. Tra l’epuratore e l’epurato scatta pertanto un rapporto oggettivo e soggettivo di reciproca inconciliabile ostilità. La storia di questo rapporto è antica come il mondo. Il meccanismo dell’epurazione si ripresenta ogni qual volta il nucleo dominante di un’entità umana — sceso in lotta con altre entità con la volontà di far prevalere un tipo di ordine e di identità nella sfera ideologica, politica, religiosa, etnica o d’altra specie — avendo scoperto o ritenendo di avere scoperto al proprio interno dei devianti, degli eretici, dei traditori, procede ad eliminare questi ultimi al fine di riaffermare e preservare la propria originaria purezza.
Dove vi è un’ortodossia o comunque un forte nucleo di interessi da difendere ritenuti minacciati, vi sono nemici da combattere ed eliminare. Le epurazioni implicano sempre il ricorso a forme di violenza e portano con sé la pratica delle espulsioni. Tali forme possono non assumere un carattere fisico, ancorché in ogni caso accompagnate da accuse più o meno aspre di infamia, di indegnità — come le espulsioni da questa o quella organizzazione — ma anche manifestarsi nella caccia all’uomo, nella ghettizzazione, nella reclusione di singoli individui e di masse intere per arrivare allo sterminio e al genocidio. Dal mondo antico al mondo contemporaneo si è assistito a un susseguirsi di epurazioni su grande scala accompagnate da efferate crudeltà: si è epurato, dicevo, per motivi politici, religiosi, etnici, ecc., con un incrociarsi sovente degli uni con gli altri. Procedendo solo per esempi: Silla fu il prototipo dello spietato epuratore, il triumvirato Antonio-Ottaviano-Lepido superò Silla, le vicende della Francia dalla rivoluzione alla Restaurazione furono un succedersi di impietose epurazioni, aprendo il capitolo delle grandi epurazioni culminate nell’età contemporanea. Si tratta di quelle che hanno trovato il punto estremo nelle tecniche di inumana repressione messe in atto dai regimi totalitari nell’Unione Sovietica, nella Germania nazista, nella Cina maoista, in cui gli uni impararono dagli altri. Bisognava epurare, tagliare i corpi infetti, annientarli — scatenando il «grande terrore» purificatore — per impedire loro di ostacolare i progetti di rinascita definitiva della società. Le epurazioni totalitarie si rivolgevano sia all’interno contro i già appartenenti alle schiere dei buoni che avevano tradito sia all’esterno nei confronti delle forze schierate a difesa del mondo vecchio, malato, decadente, inquinatore dei principi intangibili della globale rifondazione dell’ordine giusto a cui a nessuno era dato di resistere. La logica è: si salvaguardia la purezza e ci si rigenera solo attraverso la continua vigilanza e l’espulsione di chi traligna. Questa logica la espose con la massima chiarezza Stalin nel 1926, quando in piena lotta con Trockij e gli altri oppositori spiegò che tutta la storia del bolscevismo dalla sua fondazione in avanti insegnava che la via del successo era passata e passava attraverso «il superamento delle divergenze all’interno del partito mediante la lotta» per liberarsi di quanti divenuti complici e agenti del fronte nemico.
Si è detto che dove vi è stata ortodossia da affermare e difendere è sempre comparsa la coppia epuratore/epurato e ci sono citati esempi tratti dalla politica. Ma non si dimentichi quale ruolo dominante la coppia abbia avuto nella storia delle religioni, a partire da quelle cristiana e islamica. Contrasti implacabili tra ortodossi ed eretici, fedeli e infedeli, credenti e non credenti, inquisizioni, processi, condanne, roghi, esecuzioni. Da un lato i custodi della purezza, dall’altro i divenuti impuri o i mai divenuti puri.
Oggi, da noi, si aggirano nei meandri della politica nazionale i Grillo e compagni, i Maroni e compagni nelle vesti di «difensori della fede» intesi a epurare i reprobi accusati di aver tralignato e meritevoli, quando rifiutino di recitare il mea culpa, di essere espulsi. Certo il meccanismo dell’epurazione è sempre nella sua essenza quello sopra delineato. Ma, di grazia, teniamo fermo il senso della misura ovvero della differenza incommensurabile che separa i grandi epuratori da questi nostri inquisitori ed epuratori paesani. È la differenza che passa tra la tragedia e la commedia, sebbene — e anche questo occorre dire — la sgradevole commedia recitata dai Grillo e dai Maroni è un qualcosa che vorremmo ci fosse risparmiata anzitutto nelle sue forme ridicolmente rituali. Se devono regolare contrasti interni, lo facciano, ma senza le tante chiacchiere sulla difesa dei sacri e puri principi, dell’identità originaria violata. Un po’ di sano senso della laicità, anche in politica.