Francesco Grignetti, La Stampa 20/6/2013, 20 giugno 2013
ROMANZO MAFIOSO, I CLAN CONQUISTANO ROMA
A Roma le mafie sono sbarcate da tempo. Ma oggi gli investimenti mafiosi sono diventati scientifici. E poi Roma è sinonimo di potere. E così la Città Eterna è diventata la capitale anche per il crimine organizzato. Bisogna intendersi, però: le mafie del Terzo millennio non sono più quelle di una volta, coppola e canne mozze. «Già, perché le mafie sono cambiate. La mutazione genetica avviata negli ultimi dieci-quindici anni è ormai conclusa. E perciò le mafie si sono trasformate, hanno dismesso il livello militare, che ormai appaltano a organizzazioni-satellite, e sono entrate a pieno titolo nel mondo dell’economia, dell’amministrazione pubblica, della politica». Così parla Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto di Roma, autore di un libro illuminante («Roma mafiosa», Fazi editore) che condensa dieci anni di investigazione di alto livello.
Da qualche anno ci si interroga non tanto se le mafie siano attive a Roma, ma se la città sia addirittura in mano loro. Qualcuno ne è convinto. Come definire diversamente, infatti, il «Roma mafie tour» che si tiene giovedì mattina per il centro storico su un bus a cura dell’associazione antimafie daSud? In 8 tappe, da piazza della Repubblica a piazza Bologna, passando per Ostia, Laurentino 38 e Tor Bella Monaca, l’associazione annuncia che il «giro turistico» toccherà i luoghi simbolo delle mafie di ieri e di oggi. A bordo garantiscono la presenza deputati, senatori, amministratori locali e rappresentanti di associazioni.
In effetti è lunga la sfilza di omicidi, ferimenti e intimidazioni che si registrano da un paio di anni a questa parte. È il segno che c’è in atto una guerra di mafia? Il procuratore Capaldo pensa di no. «E’ un errore che si basa su una rappresentazione ormai vecchia delle mafie. E’ innegabile che in città ci sia una recrudescenza di fatti di sangue, ma si spiega, secondo me, con le guerricciole cruente tra piccole e piccolissime organizzazioni che si contendono le piazze dello spaccio. Le mafie sono altra cosa. Pensano in grande, si sono tirate fuori dal livello militare. Ciò non toglie che la cultura di queste organizzazioni criminali sia sempre mafiosa. Quindi, quando qualche affare non va nel verso giusto, si passa subito all’intimidazione e si può arrivare anche all’omicidio. Ma in appalto».
Ricapitolando: a Roma c’è una bassa manovalanza criminale, poi ci sono le mafie classiche italiane e le nuove organizzazioni straniere. Il punto di contatto tra i due mondi sono le gang. Concorda Massimo Lugli, cronista di nera e scrittore raffinato. I suoi romanzi (l’ultimo titolo è «Il guardiano», Newton Compton) affondano le radici nel lavoro di giornalista che conosce la Roma più maledetta: «E’ verissimo che le mafie investono milioni di euro e che la città sia attraversata ormai da tante piccole bande in guerra perenne per lo spaccio della cocaina. Come le mafie, anche le gang hanno subìto una mutazione genetica. Per fare un esempio: nessuno in città usa più il coltello, che era una caratteristica del malavitoso romano e tutti vogliono la pistola, il “ferro”. Persino gli spacciatori di strada, i “cavalli”, hanno la pistola alla cintura. Diciamo che i nuovi malavitosi romani hanno visto troppa televisione. Si spara con enorme facilità. E nemmeno sanno sparare a dovere. Molte gambizzazioni diventano omicidi perché colpiscono lo stomaco o l’arteria femorale».
Ma accanto alle vecchie mafie, sono arrivate in città quelle straniere. Racconta Capaldo: «La mafia russa muove enormi investimenti per riciclaggio, ma ricordiamoci che pur sempre di mafia si parla: nel 2008, in occasione di una visita dell’allora presidente Bush, in una Roma particolarmente blindata, un ricco “turista” russo è stato colpito da un killer in piena Via Veneto. Della mafia nigeriana sappiamo che domina nel mercato dell’eroina, ma appare poco. Della mafia cinese ci sono segnali intermittenti: investe in certe porzioni di città o in determinate aree del commercio».
Gli strumenti dell’intimidazione, al solito, sono quelli di sempre: è di due anni fa l’omicidio di Flavio Simmi, gioielliere con l’hobby del giornalismo, freddato con 9 colpi di pistola nel quartiere Prati, a poche centinaia di metri dal Tribunale. Suo padre, Roberto, gioielliere anche lui e proprietario di un ristorante, in passato era stato accusato di far parte della Banda della Magliana, ma fu assolto. Ebbene, Flavio Simmi era stato gambizzato sei mesi prima dell’esecuzione. Il padre, un anno dopo, viene minacciato da due persone in scooter. «E’ un possibile esempio – conclude Capaldo - dell’operato delle mafie in città. Le indagini sono ancora in corso, ma si può già dire che l’ucciso frequentava un gran numero di persone, alcune rispettabilissime, altre meno».