VARIE 19/6/2013, 19 giugno 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - LA CORTE COSTITUZIONALE RESPINGE IL RICORSO DI BERLUSCONI SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO
REPUBBLICA.IT
ROMA - No al legittimo impedimento di Silvio Berlusconi, all’epoca dei fatti premier, a partecipare all’udienza del processo Mediaset. La Corte Costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzione tra poteri sollevato da Palazzo Chigi nei confronti del tribunale di Milano, dove era allora in corso il procedimento, nell’ambito del quale il leader del Pdl è stato condannato in primo grado e in appello a 4 anni di reclusione (3 coperti da indulto) e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, e che nei prossimi mesi approderà in Cassazione.
Non si fa attendere la nota di Silvio Berlusconi: "Tentano di eliminarmi dalla politica ma vado avanti, ma confermo leale sostegno a governo. L’odierna decisione della consulta,
che va contro il buon senso e tutta la precedente giurisprudenza della corte stessa, non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo né su quello del Popolo della libertà".
La decisione della Consulta. "La riunione del Cdm - spiega la Consulta - non è un impedimento
assoluto". Si legge nella sentenza: "Spettava all’autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all’udienza penale del 1 marzo 2010 l’impegno dell’imputato Presidente del Consiglio dei ministri" Silvio Berlusconi "di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno", che invece "egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all’udienza".
Le reazioni. "I precedenti della Corte Costituzionale in tema di legittimo impedimento sono inequivocabili e non avrebbero mai consentito soluzione diversa dall’accoglimento del conflitto proposto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Evidentemente la decisione assunta si è basata su logiche diverse che non possono che destare grave preoccupazione". Lo hanno sottolineato gli avvocati Piero Longo e Niccolò Ghedini con una nota.
"La preminenza della giurisdizione rispetto alla legittimazione di un governo a decidere tempi e modi della propria azione -continuano i due legali di Silvio Berlusconi- appare davvero al di fuori di ogni logica giuridica. Di contro la decisione, ampiamente annunciata da giorni da certa stampa politicamente orientata, non sorprende visti i precedenti della stessa Corte quando si è trattato del presidente Berlusconi e fa ben comprendere come la composizione della stessa non sia più adeguata per offrire ciò che sarebbe invece necessario per un organismo siffatto".
Immediata anche la reazione dei ministri Pdl, che con una nota si definiscono "allibiti, amareggiati e profondamente preoccupati". E continuano: "La decisione della Consulta è incredibile, e travolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all’ordine giudiziario".
Le tensioni nel Pdl. L’attesa per questa sentenza - e per il successivo pronunciamento della Cassazione, che potrebbe interdire in via definitiva il Cavaliere dai pubblici uffici - sta creando molte tensioni tra i parlamentari del Pdl. Oggi Gasparri ha detto che se Berlusconi venisse interdetto tutti i parlamentari del Pdl si potrebbero dimettere, scatenando una ridda di critiche e prese di posizione, fino a quando lo stesso leader, per voce di Maria Stella Gelmini, ha detto che "non si abbandona il campo di battaglia".
L’altra tegola, non giudiziaria ma tutta politica che riguarda Silvio Berlusconi, è il capitolo ineleggibilità: la Giunta per le elezioni del Senato ha fissato infatti per il prossimo 9 luglio la seduta sui ricorsi per l’ineleggibilità del leader del Pdl, su cui spinge molto il M5s e dove potrebbe esserci una sponda dentro il Pd.
(19 giugno 2013)
GASPARRI: DIMETTIAMOCI TUTTI (REPUBBLICA.IT)
ROMA - In caso di interdizione di Silvio Berlusconi dai pubblici uffici i parlamentari del Pdl potrebbero dimettersi in blocco. A sostenerlo è il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, commentando l’imminente pronunciamento della Consulta sul legittimo imepdimento. Presa di posizione che trova però subito più di una perplessità, a cominciare da quelle degli ex ministri Giancarlo Galan e Mara Carfagna. E che, secondo Maria Stella Gelmini, non incontra neppure il favore del Cavaliere. "Ne ho parlato con Berlusconi e mi ha detto: non si abbandona mai il campo di battaglia", ha affermato l’ex ministro dell’Istruzione, che ha comunque definito "allettante l’idea di Gasparri".
I giudici costituzionali, riuniti dalle 16 in camera di consiglio, scioglieranno oggi il nodo del ricorso del Cavaliere, all’epoca dei fatti premier, per l’udienza del primo marzo 2010 del processo Mediaset, allora in fase di primo grado, oggi in attesa del ricorso in Cassazione.
Se la Corte Costituzionale dovesse accogliere il conflitto sollevato da Palazzo Chigi contro la decisione del tribunale di Milano che disse ’no’ al rinvio dell’udienza chiesto dalla difesa di Berlusconi, che era impegnato in Consiglio dei ministri, il processo Mediaset - in cui il leader del Pdl è stato condannato in appello
a 4 anni di reclusione e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale nella compravendita di diritti tv - potrebbe subire contraccolpi.
"Sulla Corte Costituzionale incrocio le dita perché se vedessi i numeri, le appartenenze e gli orientamenti dovrei essere pessimista", dice Gasparri. In realtà il pronunciamento della Consulta è solo un passaggio intermedio in quanto la parola definitiva sull’eventuale interdizione dai pubblici uffici di Berlusconi l’ultima parola spetta alla Cassazione.
"Mi auguro - afferma Gasparri intervenendo a Radio Ies - ci sia buon senso e che si prenda atto della verità: il legittimo impedimento c’era". "E’ un periodo che vede vari pronunciamenti in attesa e se ci fosse un sistematico massacro giudiziario nei confronti di Berlusconi è impensabile che il Pdl possa assistere inerte al tentativo di una sua espulsione dalla vita democratica del Paese. Qualora ci fosse un epilogo negativo e, per noi di inaccettabile valore politico, avremmo tutto il diritto di assumere iniziative come, in ipotesi, le dimissioni di tutti i parlamentari Pdl. Se non c’è praticabilità e la squadra esce dal campo, gli arbitri e i giudici devono considerare se la partita può andare avanti o meno", conclude.
Ma l’uscita del vicepresidente del Senato non sembra convincere tutto il Pdl. "Se Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici non mi dimetterei. Credo che Gasparri non esprima il sentimento comune e non dica quello che, ad esempio, io penso e cioè che, anche se si fa fatica, le vicende giudiziarie sono qualcosa di diverso", sostiene l’ex ministro Giancarlo Galan.
Parallelamente fa passi avanti intanto anche l’altra vicenda che potrebbe bandire Berlusconi dalla vita politica. La Giunta per le Elezioni del Senato ha fissato infatti per il prossimo 9 luglio la seduta sui ricorsi per l’ineleggibilità del leader del Pdl.
(19 giugno 2013)
SARZANINI (CORRIERE.IT)
La parola passa adesso alla Corte di Cassazione, ma di fronte a quei giudici Silvio Berlusconi non potrà giocare la carta del legittimo impedimento. La Consulta chiude la strada a un motivo di nullità che si basi su un errore o peggio sull’intromissione abusiva dei giudici nella sua attività di presidente del Consiglio durante il processo per diritti tv Mediaset. L’8 maggio scorso, in appello, Berlusconi è stato condannato a 4 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Se la Consulta avesse lasciato aperto uno spiraglio in motivazione, il Cavaliere poteva sperare in un nuovo processo e quindi di arrivare alla prescrizione che scadrà nel luglio 2014, esattamente fra un anno. Adesso si avvicina invece il pronunciamento dei supremi giudici, previsto per novembre prossimo. E la parola definitiva sul destino giudiziario di Berlusconi.
SARZANINI SU CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA — La speranza della difesa è tutta riposta in una sentenza di «compromesso». Perché alla vigilia della decisione della Corte costituzionale che dovrà decidere sul legittimo impedimento invocato da Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, nessuno tra i suoi fedelissimi scommetterebbe su una pronuncia favorevole al Cavaliere. E anche le indiscrezioni filtrate ieri confermerebbero questa previsione. Eppure c’è chi confida sulla possibilità che nella motivazione i giudici inseriscano un «appiglio» che la difesa possa utilizzare in Cassazione per ottenere l’annullamento della condanna a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici, inflitta l’8 maggio scorso dal tribunale di Milano per il reato di frode fiscale.
La fibrillazione delle ultime ore coinvolge la tenuta del governo, nonostante le rassicurazioni sulla «lealtà» del Pdl all’esecutivo di «larghe intese» guidato da Enrico Letta. Perché resta intatto il timore che il verdetto odierno influisca sulla situazione politica. Non a caso qualche giorno fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito la necessità di «rispettare il giudice delle leggi» e ieri in ambienti del Quirinale si ribadiva come «su questa sentenza si sono create aspettative improprie. Bisogna avere chiaro il senso dell’autentica natura e dei limiti di questa pronuncia che non può essere confusa con gli esiti dei processi penali».
La questione è nota. Il 1 marzo 2010, di fronte al tribunale di Milano che si occupa del processo sullo sfruttamento dei diritti televisivi sulle reti Mediaset, gli avvocati di Berlusconi chiedono di riconoscere il «legittimo impedimento» visto che il loro assistito, all’epoca presidente del Consiglio, era impegnato a guidare il Consiglio dei ministri. Istanza respinta perché, questa la motivazione del collegio, in realtà l’udienza era stata concordata proprio con la difesa del premier e la riunione a Palazzo Chigi poteva essere convocata in altra data, non essendoci particolari urgenze. I legali decisero così di sollevare conflitto di fronte alla Corte costituzionale. Il processo è intanto andato avanti e Berlusconi è stato condannato in primo e in secondo grado.
Le conseguenze della decisione della Consulta non sono irrilevanti rispetto al destino giudiziario di Berlusconi. Se fosse riconosciuto il legittimo impedimento si aprirebbe la strada per chiedere alla Cassazione di far ripartire il processo dal primo grado o dall’appello. E questo consentirebbe all’imputato di poter sperare nella prescrizione che arriverà tra un anno, nel luglio del 2014. Se così non fosse, l’ultimo grado di giudizio potrebbe concludersi entro quella data con il rischio di vedere confermata in via definitiva la condanna e soprattutto l’interdizione.
Il pessimismo che serpeggiava ieri sera tra i parlamentari del Pdl faceva leva sulla composizione «politica» della Corte con chi evidenziava come almeno dieci fra i giudici possano essere ritenuti vicini al centrosinistra, ma soprattutto sottolineava quanto scritto dal relatore Sabino Cassese nel gennaio 2011 quando scrisse la sentenza che bocciava la cosidetta «legge Vietti» sul legittimo impedimento. Perché si sosteneva che il pronunciamento del giudice rispetto all’impegno manifestato dall’imputato «sia di per sé lesivo delle prerogative del presidente del Consiglio o si ponga in contrasto con il principio della separazione dei poteri» e soprattutto veniva specificato come «il principio di leale collaborazione tra poteri ha carattere bidirezionale, nel senso che esso riguarda anche il presidente del Consiglio, la programmazione dei cui impegni, in quanto essi si traducano in altrettante cause di legittimo impedimento, è suscettibile a sua volta di incidere sullo svolgimento della funzione giurisdizionale». Un precedente che non potrà non pesare sulla decisione di oggi.
Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it
UGO MAGRI SU LASTAMPATV
COPPI HA PRESENTATO RICORSO IN CASSAZIONE. LEGGE SULL’INCANDIDABILITà VOTATA L’ANNO SCORSO DAL PARLAMENTO. LUNEDì SENTENZA RUBY, IL 27 ALTRE DUE L’INIZIO DEL PROCESSO IN CASSAZIONE PER IL LODO MONDADORI (CIVILE) COSTRETTO A PAGARE MULA DI 560 MILIONI DI EURO A CDB E POI RICNHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO PER CORRUZIONE SENATORI DE GREGORIO. MASSA DI VICENDE GIUDIZIARE
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Al verdetto manca pochissimo, ma la Corte Costituzionale è ancora divisa. Il punto di scontro è la decisione da prendere sul conflitto di attribuzioni, presentato a suo tempo dalla presidenza del Consiglio (era l’aprile 2011, e presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi) contro il Tribunale di Milano nell’ambito del processo Mediaset-diritti Tv. A novembre 2011 la Corte lo aveva dichiarato ammissibile. Da quel giorno sono passati 19 mesi, un governo tecnico è finito, se ne è creato un altro tecnico-politico, e la sentenza della corte d’appello è stata emessa (condanna). Eppure nulla è stato fatto: per opportunità politica e anche per valutare con attenzione le ragioni delle parti.
Il punto contestato è l’udienza del 1 marzo 2010, che Berlusconi aveva mancato a causa di un’improvvisa riunione di governo. Per il presidente del Consiglio, sostiene la difesa di Berlusconi, è inammissibile non presiedere: e l’atto in sé, del resto, giustifica il legittimo impedimento. D’altro canto, l’accordo preso con il tribunale era di fissare le udienze il lunedì, con l’impegno da parte di Berlusconi di lasciare libera la giornata. Della riunione con i ministri, invece, non c’era stato nessun avviso ai magistrati di Milano, che hanno ritenuto il suo atteggiamento “non collaborativo”. Chi ha ragione? La Consulta ci medita da tempo.
Adesso però, è arrivato il momento della decisione. Alcuni, che non raggiungono però la maggioranza, vorrebbero propendere a favore dell’ex premier, applicando in modo meno rigido che in passato la definizione di legittimo impedimento. Appare ragionevole, allora, pensare che il ricorso sarà bocciato. Ma cosa succederebbe se invece, a sorpresa, venisse approvato?
Il processo, come si diceva, è arrivato alla Cassazione, dopo la condanna in primo grado e in appello (quattro anni di carcere e cinque di interdizione ai pubblici uffici per frode fiscale). Con una pronuncia favorevole della Consulta ci sarebbe sì una scossa, ma sarebbe comunque macchinosa. Prima di parlare di azzeramento, ci sono ancora dei passaggi. La Consulta deve stabilire che, non accogliendo il legittimo impedimento, il tribunale di Milano ha leso il diritto alla difesa di Silvio Berlusconi. Soprattutto perché in quell’udienza vennero raccolte alcune testimonianze.
In secondo luogo, serve capire se quell’udienza contestata (quella che, se la Consulta accoglie il ricorso, non “s’aveva da fare”) abbia o no determinato il corso del processo. Cioè se, annullandola ex post, sia tutto da rifare (e in questo caso, visti i tempi della prescrizione – prevista per il 2014 – Silvio sarebbe salvo). Chi lo decide? Non la Consulta: non può esprimere un’opinione in merito. La parola tocca alla Cassazione, e potrebbe stabilire che, nell’economia del processo, l’udienza contestata sia marginale e quindi lasciare tutto com’è, in attesa della sentenza di terzo grado. Oppure rimandare il tutto al giudice ordinario, perché stabilisca il peso dell’udienza contestata nel processo.
In questo eventuale passaggio, il procedimento dovrebbe ricominciare proprio da quell’udienza, e ripetere tutti i gradi di giudizio fino alla Cassazione. In questo modo i termini di prescrizione arriverebbero prima, com’è probabile, della fine del processo. E per Berlusconi tornerebbe a sorridere il futuro.
Lo scenario, secondo le ultime voci, sarà però molto diverso. La Consulta deciderà per il no, respingerà il ricorso di Berlusconi e lascerà tutto intatto. Non sarà certo un segnale positivo per l’ex premier, che di fronte a sé ha altri difficili passaggi processuali (per altri processi, come il caso Ruby) e che apparirebbe, all’appuntamento con la Cassazione, anche “poco collaborativo” con la giustizia.
Ma non sarebbe finita, per lui, neppure se la Cassazione in terzo grado confermasse la condanna, perché c’è un passaggio ulteriore: il Parlamento. Come si premura di ricordare il costituzionalista Stefano Ceccanti, le disposizioni della sentenza della Cassazione dovranno passare dalla giunta per le autorizzazioni del Senato. E lì potrebbe anche essere respinta, con la salvezza di Berlusconi. E stavolta, forse, in nome della stabilità politica del governo delle larghe intese.
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La giunta per le elezioni e le immunità parlamentari del Senato affronterà il caso di Silvio Berlusconi il prossimo 9 luglio. Non manca molto. Nel giro di poco tempo il Cavaliere potrebbe essere dichiarato ineleggibile. Nella giornata in cui si attendono con ansia notizie dalla Consulta - chiamata a decidere sul legittimo impedimento dell’ex premier nel processo Mediaset - il leader del Pdl deve affrontare una nuova grana.
La storia è nota. Secondo una legge vecchia di più di cinquant’anni, non sarebbero considerati eleggibili «coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica». Insomma, secondo alcuni il Cavaliere non potrebbe sedere in Parlamento in quanto proprietario di Mediaset. Nel centrodestra - e non solo - in molti dissentono. Se anche l’interpretazione della legge fosse corretta, come è possibile che dal 1994 a oggi nessuno abbia sollevato alcun dubbio?
Intanto la querelle va avanti. E i tempi si accorciano. Poco fa l’ufficio di presidenza della giunta ha presentato il calendario dei lavori. Martedì prossimo la giunta dovrà approvare la decisione. A seguire si valuteranno i ricorsi, regione per regione. Per quanto riguarda Berlusconi - risultato eletto in più circoscrizioni - si dovrà attendere il turno del Molise. La regione per cui il Cavaliere ha optato. Il presidente Dario Stefano (Sel) conferma: «Puntiamo intanto ad occuparci delle regioni che non hanno problemi, perché le istruttorie sono completate, il conteggio è concluso e non ci sono ricorsi». Dovrebbe bastare una seduta.
Poi si proseguirà con l’istruttoria sulle nove regioni oggetto di ricorso. Solo allora ci si concentrerà sul Molise e Silvio Berlusconi. «Ora una data per esaminare i ricorsi sull’ineleggibilità di Berlusconi c’è ed è il 9 luglio - conferma il capogruppo grillino in Giunta Michele Giarrusso - Vedremo se la faranno slittare». Mistero sul parlamentare che farà da relatore alla spinosa vicenda. Una responsabilità che forse parecchi senatori preferirebbero evitare.
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