Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

LE SIGNORE DEGLI AGNELLI


J.R.R. TOLKIEN SAREBBE FIERO DI NOI. Siamo andati fino in Nuova Zelanda per capire cosa c’è dietro alle lane pregiate che ci mettiamo addosso, e siamo finiti nel bel mezzo di una storia che parla di donne (e di uomini) coraggiosi, di grandi famiglie, spazi sconfinati, placidi greggi di pecore, tessuti dal tocco magico, nuovi equilibri e antichi rituali. Milano-Dubai-Bangkok-Melbourne-Christchurch e ritorno (via Auckland-Sydney, causa nebbione malefico) in nove giorni per un totale di talmente tante ore di volo che è meglio non fare il conto. Un itinerario intenso, fatto per capire meglio il mondo delle fattorie su cui poggia buona parte dell’economia locale che fornisce materia prima di qualità al made in Italy. Un viaggio che si è trasformato in una lezione di vita.

«QUESTO È UN PAESE FANTASTICO, MA BISOGNA STARE IN GUARDIA: la Nuova Zelanda ti tira fuori tutto quello che hai dentro, nel bene e nel male». Le parole di Ercole Botto Poa­la, l’amministratore delegato di Reda, il lanificio biellese proprietario di allevamenti di merinos (nel riquadro qui a destra) di laggiù, durante la cena di benvenuto al ristorante Saggio di Vino di Christchurch, ci fanno capire quanto sia calato nella parte: sarà il nostro Gandalf. Con il suo scenografico camino centrale, è uno dei ristoranti più cool della città dove, nel 2011, lo stesso terremoto che ha provocato lo tsunami in Giappone ha distrutto buona parte degli edifici storici. Il modo in cui l’amministrazione ha fatto fronte all’emergenza la dice, però, lunga sulla tempra dei discendenti di inglesi e scozzesi mescolati ai Maori. In attesa di decidere con calma come ricostrui­re, il centro si è ripopolato grazie a container coloratissimi e niente affatto deprimenti in cui hanno preso posto bar, negozi e addirittura banche.
Da queste parti la fretta è un concetto astratto. E la capacità di adattarsi a condizioni estreme, la norma. Basta salire in macchina e puntare a Sud-Ovest, verso le Alpi alle cui pendici le pecore sgambettano beate, per rendersene conto. Strade ottime, nonostante lo scarso traffico, portano in valli dove è il silenzio a fare da padrone, un silenzio perfetto, di quelli che accolgono, anziché spaventare. E un silenzio armonico, a giudicare dai sorrisi di chi ci incontra e ci tempesta di domande, perché lì di stranieri se ne vedono ben pochi, e da come si distendono i nervi di noi europei stressati. Glenrock, Rugged Ridges e Otamatapaio, ovvero 30 mila ettari di terra per 30 mila pecore: questo è il regno della famiglia Botto Poala, dove scorrazziamo felici come bambini all’intervallo. E a governare il tutto ci sono due coppie di farmers, semplici nei modi e resistenti alle intemperie, un po’ come gli Hobbit. «Affidiamo sempre le tenute a famiglie intere», ci spiega Aragorn-Francesco Botto Poala, direttore generale di Reda, «perché le donne qui sono fondamentali». Alzarsi alle quattro di mattina e affrontare una lunga giornata di fatica fisica è quasi sempre stata roba da uomini. Le donne cucinavano non solo per marito e figli, ma pure per i lavoranti. Fornelli a parte, oggi le «signore degli agnelli» continuano a fare da spalla, aiutando i compagni nella gestione dei terreni e del bestiame.
La Nuova Zelanda è stato il primo Paese al mondo a dare il voto alle donne, nel 1893, dopo che nel 1840, con la creazione di uno stato semi autonomo dall’impero britannico, venivano sanciti i diritti del popolo Maori. Ecco due informazioni che dovrebbero chetare i sussulti femministi, anche se è parlando con le dirette interessate che si comprende davvero. Gretchen Foster, general marketing manager di The New Zealand Merino Company, il colosso che raccoglie tutta la lana ricavata dal bestiame locale racconta: «Sono cresciuta nella fattoria dei miei genitori e non ho mai invidiato le mie coetanee di Londra, Parigi o New York». Gretchen ora vive in città: «Perché ero un disastro, una volta ho sradicato tutta una recinzione nel tentativo di usare il trattore» e ricorda con orgoglio quando da ragazza aiutava una vicina ad accogliere turisti giapponesi per mostrare loro le varie fasi della tosatura. «Il rapporto di coppia qui si basa su un autentico rispetto e le donne, specie in campagna, si sentono forti e considerate. Hanno sicurezza interiore e sanno coniugare il contatto con la natura con una concezione moderna e sportiva della vita», dice Paola Buratti, moglie di quel Roberto Botto Poala che vent’anni fa la portò dall’altra parte del mondo per siglare l’acquisto della prima fattoria, e a cui ancora oggi le si illumina il volto quando si parla di Otamatapaio.

A GUARDARLE NEGLI OCCHI, queste femmine che dei tacchi alti non sanno cosa farsene, si coglie qualcosa di profondo: loro non hanno paura. Nessuno chiude a chiave la porta di casa e l’unica volta che si è parlato di un intruso si trattava di un giovane rampollo appena arrivato dall’Italia che non era stato riconosciuto. Non temono gli altri e, soprattutto, non temono il giudizio degli altri, perché il pettegolezzo qui quasi non esiste. Insomma, le neozelandesi stanno al fianco del compagno (né dietro né davanti) e non si perdono in chiacchiere quando non è il caso. E se agli antipodi avessero trovato la ricetta della serenità?