Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 19/06/2013, 19 giugno 2013
RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA ERASMO E LA CHIESA ROMANA - Non sono d’accordo sulla sua risposta, il 9 giugno, a proposito dell’esclusione nella costituzione europea di un richiamo alle radici cristiane
RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA ERASMO E LA CHIESA ROMANA - Non sono d’accordo sulla sua risposta, il 9 giugno, a proposito dell’esclusione nella costituzione europea di un richiamo alle radici cristiane. Tutto dipende, io credo, da una dimenticanza e da un equivoco. Si dimentica che la matrice dei principii che improntano le nostre libere istituzioni (ben altra cosa la presenza in Europa di una assai più dilatata eredità storica) è l’affermazione della eguale dignità di ogni persona umana. Questa affermazione, ieri come oggi, non si ritrova affatto in ogni tipo di cultura, ma è il frutto dell’umanesimo cristiano, come si può facilmente documentare sulla base dei testi. L’equivoco nasce dal fatto che nello stesso campo cristiano le implicazioni di quella affermazione non furono sempre riconosciute, ed esse furono specialmente avversate dalla chiesa di Roma che, come è ben noto e come lei ricorda, alla nascita delle libere istituzioni si oppose duramente. Nondimeno io continuo a credere che, se ne sia o meno consapevoli, quelle libere istituzioni riposino sul pensiero dell’umanesimo cristiano. Esemplare, in proposito, il caso di Erasmo che, come ho scritto altrove, io ritengo il vero padre della moderna libertà. Ebbene, Erasmo fu emarginato dalla chiesa di Roma e le sue opere messe all’indice, ma chi può dubitare che il pensiero di Erasmo, poco importa quanto gradito a Roma, sia pensiero cristiano? Roberto Vivarelli Firenze Caro Vivarelli, credo che lei abbia ragione ed è probabile che nella mia precedente risposta io non abbia sufficientemente sottolineato il ruolo del pensiero cristiano nella storia d’Europa. Sull’importanza di Erasmo nel definire e approfondire il concetto di libertà non posso che essere d’accordo con lei. Ma il preambolo, ripeto, non è un trattato storico-filosofico. È l’introduzione (per quanto mi riguarda inutile) a un trattato costituzionale in cui devono esservi garanzie di libertà per tutti e l’implicita assicurazione che nessuno avrà il diritto di rivendicare la propria «nobiltà» per ottenere uno stato privilegiato e mantenere altri al di fuori della cerchia civile. Aggiungo che la battaglia più insistente per l’introduzione del riferimento alle «radici cristiane» nella costituzione europea fu fatta allora dalla Chiesa, vale a dire dall’istituzione terrena che aveva spesso adattato i principi del cristianesimo ai fini e alle necessità del momento. Quale sarebbe stato, se la richiesta fosse stata accolta, il cristianesimo della Costituzione? Quello di Erasmo o quello praticato dalla Chiesa Romana nella sua lunga evoluzione storica? Non basta. Se le «radici cristiane» avessero trovato spazio nel preambolo, la Chiesa avrebbe fatto le sue battaglie contro le leggi sull’aborto, la procreazione assistita, il divorzio, le unioni fra le persone dello stesso sesso e l’eutanasia sostenendo che sono incostituzionali; e qualche giudice della Corte costituzionale, forse, le avrebbe dato ragione. Ancora una osservazione, caro Vivarelli. La libertà e la dignità della persona umana sono certamente valori cristiani. Ma la tolleranza, indispensabile complemento della libertà, fu una salutare reazione alle guerre di religione ed ebbe per effetto una inevitabile relativizzazione delle loro rispettive «verità». Sono queste le ragioni per cui, pur riconoscendo il ruolo fondante del cristianesimo nella storia d’Europa, continuo a pensare che sia stato opportuno omettere le «radici cristiane» dal testo della Trattato costituzionale. Sergio Romano