Sergio Rizzo, Corriere della Sera 19/06/2013, 19 giugno 2013
DA TRACCIARE SOLO I RIFIUTI PERICOLOSI
«Caso emblematico di ingiustificato aggravio per gli operatori», l’ha bollato pubblicamente giorni fa Flavio Zanonato. Per il Sistri, sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali ideato dalla Finmeccanica e mai decollato, è stato come il rintocco di una campana a morto.
Il Sistri, ricorderete, due mesi fa è finito pure al centro di una inchiesta giudiziaria che ha coinvolto imprenditori, consulenti, manager e funzionari pubblici. Pur senza quella frustata del ministro dello Sviluppo ce ne sarebbe stato dunque a sufficienza per avviare una profonda riflessione. Forse addirittura per mettere una pietra sopra a un progetto che la commissione d’inchiesta sulle ecomafie ha definito senza mezzi termini «un fallimento». Obiettivo che ora il governo di Enrico Letta vorrebbe centrare. E se non proprio arrivare a quello, almeno un radicale cambiamento di rotta.
Tutto comincia sul finire del 2006, con ben due anni di anticipo rispetto alla decisione europea di rendere tracciabili i rifiuti pericolosi: il 5 dicembre la Selex del gruppo Finmeccanica (del quale il Tesoro controlla un terzo circa del capitale) presenta al ministero dell’Ambiente allora affidato al Verde Alfonso Pecoraro Scanio un progetto a scatola chiusa. È una specie di evoluzione del sistema «Sirenetta» pensato per controllare via gps i rifiuti della Campania in piena emergenza, ma mai utilizzato per l’opposizione dei trasportatori, nonostante i 9,3 milioni già spesi. Qui però il costo è molto più alto: 146 milioni e 715 mila euro. Questo dice il contratto firmato dalla Selex con il governo. Firmato, è il bello, senza aver fatto una gara.
E qui le responsabilità vanno spartite fra il centrosinistra e il centrodestra. La commissione parlamentare ha appurato che nel febbraio del 2007, durante il governo di Romano Prodi, il piano per la tracciabilità dei rifiuti viene inspiegabilmente «secretato» per ragioni di sicurezza nazionale, e il compito di realizzarlo viene affidato alla Finmeccanica. Un anno e mezzo dopo tocca all’esecutivo di Silvio Berlusconi emanare un secondo atto di «secretazione» altrettanto inspiegabile, con il risultato che nel 2009 il contratto con la Selex, classificato come «riservato», diventa operativo. Ma subito cominciano i problemi. Il sistema funziona con black box sui camion che trasportano i rifiuti, e chiavette da computer nelle quali vengono registrati i dati di ogni viaggio: queste ultime prodotte da un subappaltatore privato che a sua volta, chissà perché, utilizza personale di un’azienda pubblica, la Abruzzo engineering. Per non parlare dei prezzi. La DigtPa sostiene che sono mediamente più alti dal 25 al 29 per cento dei prezzi di mercato. Per l’agenzia erede della vecchia autorità per l’informatica pubblica il costo «congruo» di una scatola nera sarebbe di 152 euro contro 500, e quello di una chiavetta di 5 euro anziché 75. La cosa ha insomma tutta l’aria di un bel pasticcio, e infatti i magistrati ci ficcano il naso. Arrivando a sospettare tangenti a valanga.
Si tratta, in effetti, di un affare enorme: anche perché l’ambito di applicazione della tracciabilità è stato esteso non solo ai rifiuti speciali effettivamente pericolosi, ma a tutti. Compresi, per capirci, roba come i calcinacci. Il che, ovviamente, comporta un aggravio economico per le migliaia di imprese cui la legge impone di dotarsi delle apparecchiature Sistri e che devono versare un contributo annuo di 70 milioni. Superfluo dire che sono tutte furibonde. La Confartigianato ha calcolato che finora sono stati spesi 250 milioni di euro. Per un sistema mai avviato: fra proteste degli imprenditori e problemi tecnici l’entrata in funzione è stata già rinviata sette volte. Il prossimo primo ottobre dovrebbe finalmente scattare per i rifiuti pericolosi, il primo marzo 2014 per quelli soltanto speciali. Un calendario «separato» stabilito dall’ex ministro Corrado Clini già con l’intento di rivedere a fondo il sistema.
Adesso però si è arrivati alla resa dei conti. Dice il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando: «Così la tracciabilità non può funzionare. C’è un contratto capestro che stiamo cercando di smontare». Difficile dire se sarà possibile far evaporare gli accordi con la Finmeccanica. S’intravedono legioni di avvocati pronte a muovere battaglia e la prospettiva di finire in un ginepraio di carte bollate non è da escludere. Senza contare che il controllo dei rifiuti speciali è previsto da una legge. Oltre al fatto che bisognerebbe restituire i soldi a tante imprese che hanno già pagato. Come venirne fuori, allora? La prima mossa sarà quella di limitare la tracciabilità ai soli rifiuti effettivamente pericolosi, lasciando perdere i camioncini pieni di calcinacci. Poi si vedrà: la battaglia è appena iniziata.
Sergio Rizzo