Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 19/6/2013, 19 giugno 2013
IL PRECEDENTE DEI PAESI NORDICI
Pagare una banca perché tenga i nostri soldi. Può sembrare un’assurdità - se si fa astrazione dalle spese dei conti correnti... - ma, fatte le dovute differenze, è questa una delle possibilità che la Banca centrale europea sta immaginando come prossima mossa.
Quando lo farà, non sarà un primato: altre autorità monetaria hanno affrontato il paradosso dei tassi negativi sui depositi. I clienti di una banca centrale sono naturalmente le aziende di credito, non le famiglie o le aziende. Si parla quindi di tassi sui depositi volontari e sulle riserve obbligatorie, che sono in genere remunerate. La Fed, per esempio, paga oggi lo 0,25%, e solo dall’11 luglio 2012 la Bce ha portato questo tasso a zero. Nel 2007 - per capire cosa accada in una situazione "normale" - il tasso Bce era al 3,25%; nel 2000 aveva toccato il 3,75 per cento.
Il passo da fare è delicato. Se una banca deve pagare per tenere moneta presso la Banca centrale è disincentivata a farlo; ma questo non significa che quel denaro abbandonerà la Bce per fluire verso l’economia reale. Anzi, potrebbe avvenire il contrario: in situazioni normali, più denaro è detenuto in riserve, più una banca può concedere prestiti: Il denaro sembra "parcheggiato" nei forzieri virtuali di Francoforte, ma in realtà non lo è mai: si muove rapidamente dal conto di un istituto a un altro.
Alla Svezia, comunque, il gioco è riuscito. Non molto tempo fa: era il 1°luglio 2009 e molte nubi si addensavano sui cieli di Stoccolma. Fu allora che la Riksbank, nel quale siedeva come vice governatore l’economista ultra-keynesiano - ma assolutamente ortodosso nella metodologia - Lars E.O. Svensson, lasciò che i tassi sui depositi scivolassero in territorio negativo, dove ci sono rimasti fino a giugno 2010 (oggi sono allo 0,25%).
Fu più un effetto "secondario" anche se comunque voluto, che una una decisione mirata: abbassando il tasso principale dallo 0,50% allo 0,25%, il tasso dei depositi, muovendosi alla distanza di 50 punti base, calò di riflesso dallo zero al -0,25 per cento. L’ammontare delle riserve depositate alla Riksbank era inoltre irrisorio, per cui quel segno "meno" - che pure fu notato e discusso - aveva più la funzione di plasmare le aspettative che quella di avere effetti concreti.
L’obiettivo della manovra complessiva era, tra l’altro, quello di frenare la corona: il cambio effettivo verso 21 altre valute, a quota 121 a maggio 2008, era salito fino a 156 a marzo 2009, contro una media di lungo periodo a 129. Era ancora intorno quota 145 a luglio 2009, quando la banca centrale introducendo i tassi negativi parlò di una valuta «debole», evidentemente in prospettiva, tra i fattori che avrebbero potuto spingere i prezzi in alto. La flessione del cambio fu lenta, e per mesi non riuscì a scendere sotto 130. La caduta accelerò poi a settembre quando in realtà i tassi sui depositi erano già risaliti a zero, e scese sotto 120 a gennaio 2011.
Fu Svensson, durante la discussione e in risposta alle perplessità di un collega, a rassicurare sul fatto che i mercati finanziari siano capaci di «gestire tassi negativi, se necessario»: «I tassi d’interesse - spiegò - sono solo un modo di esprimere prezzi relativi: il prezzo di oggi di una corona di domani». Senza contare, aggiunse, che sono i tassi reali che contano, e questi diventano negativi molto tempo prima di quelli nominali. In Eurolandia, i tassi reali sui depositi sono al -1,4%, quelli di riferimento al -0,9 per cento. L’unico problema certo sembrava essere il fatto che i software non sempre gestiscono tassi nominali negativi.
Più recente, e forse meno fortunata - perché passiva nelle sue scelte - è l’esperienza della Danimarca. Anche la Nationalbanken, dal 6 luglio 2012, ha un tasso negativo: era in origine il -0,20%, ma il 25 gennaio scorso è stato portato al -0,10 per cento. Non si applica in realtà direttamente alle riserve e ai depositi, ma a una loro parte: quella eccedente un livello prestabilito (che l’anno scorso fu conseguentemente aumentato) convertita in certificati di deposito. La mossa aveva il solo scopo di "inseguire" la Banca centrale europea, che aveva ridotto il suo costo del credito, e quindi l’euro verso il quale la corona danese è legata da un accordo di cambio che le permette movimenti limitati.