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 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

“SOGNO UN PARTITO CALDO E NEMICO DEI PRIVILEGI”

ROMA — Il Pd che sogna Enrico Letta si costruisce su due pilastri: «il calore e la lotta all’esclusione» e la sobrietà di chi «gestisce le sue casse come il buon padre di famiglia perché o la politica accetta la sfida di cambiare e ridurre i suoi privilegi o la politica muore». Il premier si tiene fuori dalla vita della sua forza politica ma fa un’eccezione nel puntuale libro-biografia che gli dedicano Federica Fantozzi e Roberto Brunelli (Enrico Letta, Editori Internazionali Riuniti, 190 pagine).
Dall’intervista che conclude il volume, emerge il contrasto tra il senso della misura del protagonista e il partito che vorrebbe. La sintesi è racchiusa in un modello che Letta ha già citato durante l’assemblea nazionale del Pd di maggio. «La nostra missione è racchiusa in uno slogan calcistico. Quello che usano i tifosi del Liverpool per parlare alla loro squadra: You’ll never walk alone, tu non camminerai mai solo. Deve diventare un partito di relazione calda con i singoli». Al di là dei numeri drammatici della crisi economica, c’è un mondo che è cambiato alla velocità della luce, una società che ha perso le certezze del passato. Non c’è niente di peggio del senso di smarrimento e di solitudine che si vive nel profondo del nostro Paese. «All’Italia dobbiamo restituire il senso di comunità».
Una delle soluzioni che Letta ha individuato da tempo, dal momento in cui iniziò la battaglia contro i vitalizi dei parlamentari, è restistuire la credibilità alla politica. Come? Mettendola a dieta, a dieta di soldi. «Per questo stiamo abolendo il finanziamento pubblico. Il Pd deve lavorare con risorse diverse e risorse che vengono dai cittadini». Nell’intervista non sono citati i nomi di altri protagonisti democratici, se non quelli di Prodi e Andreatta, i punti di riferimento lettiani. Manca Renzi, mancano Bersani e D’Alema. Per tenersi alla larga dalla contesa del congresso.
C’è invece il vero obiettivo del governo Letta. «La terrificante crescita sul grafico della disoccupazione giovanile è arrivata al 37 per cento. Se al termine del mio lavoro quel dato sarà sceso, allora potrei dire di aver fatto qualcosa di utile».