Federico Rampini, la Repubblica 19/6/2013, 19 giugno 2013
SE LA CRESCITA È ANCORA APPESA ALLA FED
LOUGH ERNE «LA PRIORITÀ più urgente è sostenere la crescita e il lavoro, in particolare a favore dei giovani e contro la disoccupazione a lungo termine». Il G8 si chiude su un’indicazione chiara. Ma anche con un’ammissione d’impotenza. I Grandi della terra constatano che «l’economia globale resta debole». In particolare c’è un buco nero, l’Europa: l’unica area del mondo che “rimane in recessione”.
PROPRIO quell’Europa che immeritatamente occupa la metà delle poltrone del G8, vanta il record mondiale della disoccupazione giovanile. Che cosa deve fare? Le indicazioni di questo G8 sulla «flessibilità di breve termine nelle politiche di bilancio» non vanno certo nella direzione evocata da Silvio Berlusconi nella sua sortita contro la disciplina fiscale europea (boutade ignorata qui al vertice in Irlanda del Nord). Se c’è un paese che avrebbe margini di manovra per un rilancio di spesa e di consumi non parassitario e non irresponsabile, quel paese è la Germania: dove oggi Barack Obama si appresta a tenere uno storico discorso alla Porta di Brandeburgo. Ma a pochi mesi dalle elezioni legislative tedesche, Angela Merkel non è certo disposta ad annunciare un clamoroso pentimento sul suo rigorismo. Obama farà del suo meglio per accattivare le folle berlinesi; non s’illude che la Germania diventi in poco tempo la locomotiva di una ripresa europea.
Allora dove trovare le risorse, per far sì che quella priorità al lavoro non sia una impostura? Qualcosa di interessante si è mosso al G8 sulla lotta all’elusione fiscale. Il punto di partenza è questo: gli Stati sono poveri di risorse, per ragioni diverse. In Europa la rigidità dell’austerity ispirata alla “ideologia tedesca” si combina con lo shock demografico, e il tutto è aggravato dai costi accumulati per salvare le banche. L’America e` in crescita ma col freno a mano: il suo Pil aumenta solo del 2,5% (un punto in meno del suo potenziale) perchè una “semi-austerity” automatica e` imposta a Obama dalla destra repubblicana che controlla la Camera. Altrettanto allarmante e` il fatto che tutti i paesi emergenti stanno rallentando simultaneamente, senza eccezione: Cina e India, Brasile e Messico, Sudafrica e Indonesia. (Ancora piu` grave e` la loro assenza al G8).
Nella generale penuria di risorse, finalmente il tema dell’elusione fiscale riceve un’attenzione reale. Seguiranno risultati concreti? I propositi sono interessanti: l’obbligo di scambi automatici di informazioni alle autorità fiscali anche da parte dei paradisi offshore; un registro mondiale per la trasparenza proprietaria delle societàfantasma dietro cui si celano oligarchi della finanza o holding di multinazionali. Evasione, elusione, opacità fiscale, sono stati definiti da questo G8 come un “flagello”. La parola è forte ma adeguata. É duplice il danno arrecato da tutti quei soggetti forti che riescono a spostare in piazze esotiche i loro profitti e le loro rendite finanziarie. Da una parte c’è un ammanco diretto di entrate fiscali, che impoverisce le nazioni, lascia ai governi pochi spiccioli da investire per la scuola, l’addestramento professionale, gli investimenti e l’occupazione giovanile. D’altra parte per compensare la fuga d’imponibile “ricco” gli Stati si accaniscono sui redditi da lavoro che fuggire non possono. Allargano quindi i “cunei fiscali”, vere e proprie tasse punitive contro l’occupazione. L’attenzione di questo G8 sui temi della trasparenza dei bilanci, delle proprietà, dei conti bancari paradisiaci, è tardiva ma benvenuta.
Però tocca a ciascun governo fare ordine in casa propria. A pochi chilometri dal resort golfistico di Lough Erne, la Repubblica d’Irlanda è ben nota come paradiso delle multinazionali. Apple vi “colloca” un centinaio di miliardi di profitti fatti altrove, e su quelli paga lo 0,1% d’imposte. Cosa attende l’Unione europea a fare pulizia nei paradisi di casa propria? Poi c’è il versante americano: l’elusione delle multinazionali come Apple o Google è legale, finché il Congresso non riforma una normativa fiscale fatta su misura per gli interessi del grande capitale. Quando ciascuno deve fare i compiti a casa propria, gli entusiasmi e le promesse svaniscono. Lo si è visto ieri quando il Parlamento svizzero ha rinviato il dibattito sull’accordo fiscale con gli Stati Uniti.
In questa latitanza dei governi, ancora una volta l’attenzione si gira verso le banche centrali. L’attesa è alle stelle, verso quel che dirà oggi Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve. Di tutte le banche centrali, la Fed è quella che ha agito più vigorosamente, e con metodi innovativi, per usare la moneta come stimolante della ripresa. Ha avuto risultati reali. Ma non appena Bernanke ha accennato all’eventualità di un ritorno alla normale, i mercati sono entrati in subbuglio. Da Wall Street al Giappone, fino a tutte le piazze emergenti, le ultime settimane hanno visto un’agitarsi scomposto, nella previsione che venga meno la “droga monetaria”, che rallenti la macchina pompadollari di Bernanke. Forse anche per questo Obama ieri ha voluto anticipare la probabile uscita di scena di Bernanke nel gennaio prossimo. É quasi certo che il presidente della Fed non sarà rinnovato dopo due mandati. Al suo posto verrà probabilmente una donna, Janet Yellen, democratica, una “colomba monetaria” con vedute molto simili a quelle di Bernanke. Sapersi vicino all’uscita può rendere Bernanke più libero dai condizionamenti, verso quei falchi che continuano a voler combattere un nemico inesistente (l’inflazione) e ignorano il dramma vero e attuale della disoccupazione di massa. Resta una constatazione d’impotenza, se dopo 48 ore di summit il G8 deve ancora una volta rivolgere lo sguardo ansioso e speranzoso verso le banche centrali.