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 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

IL POOL DI GENI DELL’ALTRO BUZZATI CHE FU CANCELLATO DAI COMUNISTI

Se il genetista e scienziato Adriano Buzzati Traverso avesse collaborato con il fratello, il giornalista e scrittore Dino alla stesura del romanzo Il deserto dei Tartari, il sottotenente Giovanni Drogo avrebbe visto la cavalleria tartara lasciare l’accampamento per attaccare la Fortezza Bastiani, avamposto dell’impero austro-ungarico davanti al nulla.
Siamo al paradosso ma neppure più di tanto, se è vero che è da un bel po’che l’Italia si lascia sfuggire i suoi talenti migliori. Capita spesso di apprendere che l’americana università tal dei tali ha ottenuto risultati strabilianti nei campi della ricerca genetica, biologia molecolare, astrofisica e quant’altro, grazie al genio di un “nostro” ex precario o co-co-pro che ha tenuto duro fin che ha potuto ma non per sempre. E se ne è andato. La vicenda che ci racconta il docente universitario e storico Francesco Cassata in L’Italia Intelligente, edito da Donzelli, ha per protagonista proprio Adriano Buzzati Traverso, (1913-1983), personalità scientifica di primissimo valore, e narra che cosa riuscirono a combinare a danno della sua creatura, il Laboratorio Internazionale di Genetica e Biofisica di Napoli, il Ligb, gli attacchi concentrici dei parrucconi accademici d’Italia, dei portatori sani del libretto rosso di Mao e dei potentati scientifici che mal vedevano i riconoscimenti e gli apprezzamenti che da tutto il mondo giungevano a Buzzati Traverso. Non è incredibile perché è vero: negli anni in cui l’Italia invadeva il mondo con la Lambretta e la Vespa, con Volare, le vittorie della Ferrari e gli Oscar al miglior film straniero, più di qualcuno era salito in aereo e aveva lasciato il Massachusetts Institute Of Technology di Cambridge per lavorare a Napoli. Molti premi Nobel definirono il Ligb «modello imprescindibile della riorganizzazione delle scienze biologiche».
Ma in questa patria, chi mai riesce ad essere profeta? Il visionario può inciampare in un tombino ma solo perché guarda lontano. I «concreti» scettici di casa nostra, nonostante «sapessero il valore» dell’équipe messa insieme da Buzzati, si misero d’impegno e sbozzarono pali di olmo con cui colpire al cuore l’istituto. Non direttamente, ma all’italiana. Come nel caso del Luigi Luca Cavalli –Sforza, amico e collaboratore di Buzzati Traverso, poi professore emerito all’Università di Stanford, Accademico dei Lincei, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, Premio Balzan, che per tre volte fu bocciato a concorsi di Genetica. Alla genialità di un progetto cosmopolita, la magnifica ossessione di Buzzati Traverso di svecchiare gli assetti gerarchici di un sistema non immune da afasia, portando- o (ri)portando- l’Italia della scienza al centro del mondo - e scienza significa anche brevetti, royalties, licenze di fabbricazione, in tre parole: bilancia dei pagamenti -si contrappose il tiro incrociato dei cecchini assoldati dallo status quo, non esclusa la politica. È stata questa una formidabile occasione sprecata, in sé e anche di più considerando quale sia stato, la geometrica “esplosione” della biologia molecolare negli anni a venire. Cassata precisa: «Il titolo del libro merita una breve spiegazione. Nel 1963, Alberto Cavallari, inviato speciale del Corriere della Sera (di cui sarà direttore negli anni Ottanta), pubblicava per Rizzoli L’Europa intelligente, «taccuino di viaggio» sullo stato della ricerca scientifica nel vecchio continente. Ricevendo il volume, per il quale aveva fornito un’importante opera di consulenza, Buzzati scriveva a Cavallari: «Il libro mi è piaciuto moltissimo, e mi compiaccio molto per il modo con il quale tu sei riuscito a comprendere ed a far comprendere l’atteggiamento degli scienziati d’oggi. Il libro mi piace tanto, infatti, che vorrei ripeterti il suggerimento di una nuova serie di visite e chiacchierate da fare nell’ambiente italiano. Sono certo che anche questo esperimento potrebbe riuscire molto interessante. L’Italia intelligente avrebbe dovuto essere pertanto il titolo del viaggio, mai intrapreso, di Buzzati e Cavallari nei laboratori della nascente biologia molecolare italiana. Ma non solo. In varie occasioni, all’inizio degli anni Sessanta, Buzzati utilizzò provocatoriamente la metafora della presunta «intelligenza» degli italiani, per denunciare l’inarrestabile «emorragia di cervelli e la perdurante scarsità d’ investimenti nell’innovazione scientifica e tecnologica ».
L’Italia è da sempre il paese dei misteri irrisolti. Da Enrico Mattei a Ustica. Accade questo: lo scienziato Felice Ippolito, presidente del CNEN, Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare mira a rendere l’Italia indipendente dal punto di vista energetico. Le centrali di Trino Vercellese, Garigliano e Latina vantano un know how di primo livello. Nel 1964 Ippolito viene accusato di irregolarità amministrative e successivamente condannato a undici anni di carcere. L’indagine ministeriale è condotta dal futuro presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Ippolito viene graziato da Saragat dopo due anni di reclusione. Mattei è morto in un incidente aereo dalle cause mai chiarite. L’Italia che non uscirà più dalla dipendenza energetica, si consegna, manie piedi legati, alle forniture straniere. Il CNR piglia la palla al balzo e avvita la garrota burocratica che strangola il Ligb. Buzzati Traverso è, anche, un guru della radio genetica e, nel 1957, è stato nominato direttore della Divisione Biologica del CNRN che studia gli effetti delle radiazioni. I vertici dell’istituto, Buzzati Traverso, Graziosi e Scarano si dimettono. Il PCI ci mette del suo: la biologia molecolare viene bollata dai già citati portatori sani del libretto di Mao di essere filoamericana, espressione del capitalismo guerrafondaio e delle multinazionali. Nel 1969 i laboratori vengono occupati per quaranta giorni.
Al posto della foto di Max Planck, quella di Ho Chi Minh. La favola bella finisce. Buzzati Traverso si trasferisce in Place de Fontenoy, a Parigi: l’Unesco lo nomina direttore per la questione nucleare e il problema demografico. Le statistiche dicono che l’Italia, con l’1% di investimenti pubblici e privati in ricerca, è fanalino di coda in Europa. La scellerata decisione di sacrificare ricerca, innovazione e cultura, pur di non intaccare i privilegi della casta e gli sprechi di un carro frenato che ha corroso dall’interno la struttura stessa del Paese, determina e giustifica ogni fosca previsione. Lo scienziato muore nell’aprile 1983. Sulla scrivania, il brogliaccio di un libro che non è riuscito a terminare. Ma il titolo basta e avanza: Paese senza domani. La distruzione del sapere.