A. Gu., Il Messaggero 19/6/2013, 19 giugno 2013
KABUL NELLE MANI DELL’ESERCITO LOCALE
Dodici anni di guerra stanno finendo: gli Alleati hanno ceduto ieri il controllo del territorio afghano alle forze di Kabul. La giornata storica è stata comunque funestata da un attentato, che prova quanto difficile sarà la strada della normalizzazione per il Paese che aveva ospitato Osama bin Laden ed al Qaeda. Ieri mattina, alla presenza del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, è avvenuta la cerimonia con cui la coalizione ha ceduto alle forze armate afghane anche le ultime province: da oggi, tutte e 34 le province del Paese, con i loro 403 distretti saranno difese da uomini afghani.
I 100 mila soldati della coalizione continueranno a dare supporto medico e aereo in casi di emergenza. Ma anche loro stanno tornando a casa, ed entro la fine dell’anno prossimo, solo poche migliaia di soldati stranieri rimarranno in funzione di addestratori e consulenti. Si calcola che il contingente straniero potrebbe arrivare a circa 9 mila americani e 6 mila di altri Paesi della Nato. In compenso, i soldati afghani, che nel 2009 erano appena 40 mila, sono oggi 352 mila. Non solo: c’era molto scetticismo sulla capacità di questi soldati di difendere il loro Paese, ci sono state prove di corruzione da parte dei talebani, di diserzione, di vero e proprio tradimento. Ma la massa degli arruolati ha imparato, e sembra oramai in grado di fare il lavoro richiesto.
La giornata di orgoglio e festa nazionale è stata comunque offuscata da un attentato che potrebbe avere ripercussioni gravi. Una bomba è esplosa contro il convoglio di un noto esponente dell’etnia azara, Mohammed Mohaqiq. L’ex deputato è rimasto indenne, ma tre persone sono state uccise e 30 ferite. Gli azari sono islamici sciiti e se nel passato avevano convissuto pacificamente con i pashtun sunniti, non è più stato così dall’epoca dell’affermazione del talebani, che di questo secondo gruppo sono la manifestazione estremista. La bomba testimonia di quanto lontana sia la pacificazione del Paese, ma anche quanto sia legata a fattori interni e locali, sui quali poco possono le grandi armate straniere.