Francesco Semprini, La Stampa 19/6/2013, 19 giugno 2013
BERNANKE, L’UOMO DELLA CRISI SI PREPARA ALL’ADDIO ALLA FED
Lo scorso 23 maggio sulle Borse del pianeta si verifica un effetto domino con un crollo planetario dei listini azionari. Sul banco degli imputati finisce Ben Bernanke e le sue dichiarazioni sulle manovre non convenzionali. Il presidente della Federal Reserve, nel corso di un’audizione al Senato, spiega che l’acquisto di bond e mutui, per un valore di 85 miliardi di dollari al mese, ha aiutato a rimettere in sesto l’economia, ma ricorda che si tratta di operazioni a scadenza, senza tuttavia fornire indicazioni utili, secondo i mercati, sulla tempistica di un’eventuale «exit strategy».
Così sui mercati torna la volatilità, la moneta unica della negligente Eurozona diviene il «rifugio» di fine primavera, e il mondo economico si riscopre di nuovo ostaggio delle scelte della gendarmeria monetaria americana. E del suo regista, quel Ben Bernanke che oggi, al termine della riunione del Fomc, dovrà dare indicazioni più puntuali sul potenziale allentamento della ricetta a base di tassi zero e interventi sul mercato tra cui i vari «Quantitative easing» (l’acquisto di titoli) e l’«operation twist» (comprare titoli a breve e vendere quelli a lungo termine). Da ciò dipende l’esito del suo mandato da condottiero della Fed, la cui scadenza è prevista tra tre mesi, e oggi per lui è il giorno della verità, l’ultima riunione del Fomc da presidente con pieni poteri, visto per quella di settembre sarà già stato nominato il suo successore. Una sfida ancor più importante visto che cade nel centenario della Banca centrale americana e di cui lui è stato traghettatore nel periodo più difficile, assieme alla Grande depressione. Ed è proprio a quest’ultima che il giovane Bernanke si dedica per la sua tesi di laurea ad Harvard.
Ben viene da una famiglia della media borghesia, nasce ad Augusta, in Georgia il 13 dicembre del 1953, ma si trasferisce a Dillon, in Carolina del Sud, da giovanissimo, in una casa che molti anni dopo vedrà pignorata (grande rammarico della sua vita). Lavora nel ristorante del nonno, capostipite di una famiglia ebrea molto devota, impara a parlare ebraico ma allo stesso tempo sviluppa una passione per l’economia che racconta anni dopo in un discorso dal titolo «The economics of happiness». Nella sua vita c’è tanta Italia, sua moglie Anna, conosciuta in un appuntamento al buio: con lei ha due figli.
L’accademia è nel suo Dna, dopo gli studi illumina gli universitari di Princeton, sino a quella telefonate del 2002, quando viene chiamato nel Board of governors della Fed. George W. Bush lo nomina capo del suo Council of Economic Advisor, e quindi, nel 2006 presidente della Fed. A passargli il testimone è Alan Greenspan, il falco della politica monetaria, per sua stessa ammissione corresponsabile della crisi, da cui il mite Bernanke viene travolto.
Ma lui non molla mai: «Ha fatto un lavoro eccezionale», dice Barack Obama il quale spiega che per il bene del Paese è persino rimasto alla Fed più di quanto avesse voluto. Un prematuro discorso di congedo quello del presidente Usa a cui spetta la scelta del successore, tra Timothy Geithner, Larry Summers e la «colomba» Janet Yellen. Il futuro di Ben Bernanke sembra invece già scritto, il ritorno all’accademia, forse alla sua Princeton, la stessa università dove due settimane fa ha recitato i suoi «dieci comandamenti» per i giovani che si affacciano alla vita. Tra cui «chiamare i genitori almeno una volta a settimana, trovarsi una bella compagna di vita (magari italiana ndr), accompagnare il successo economico con la soddisfazione personale, e accettare i fallimenti perché parte integrante della vita. Un modo molto personale, forse, per esorcizzare il suo giorno del giudizio con la storia.