Mimmo Càndito, La Stampa 19/6/2013, 19 giugno 2013
QUEI SIGNORI DELLA GUERRA NEGOZIATORI IN DOPPIOPETTO
Se è pur vero che le guerre alla fine finiscono quando quelli che si stanno scannando decidono di mettere da parte bombe e fucili, e s’incontrano a parlarsi invece di spararsi addosso, il commento che tuttavia pare il più serio, dopo l’annuncio clamoroso del G8, è quello digrignato ieri pomeriggio a denti stretti dal generale Joseph Dunford, comandante in capo di tutti i soldati che stanno facendo la guerra in Afghanistan: «Ma che, quelli lì? Ma va’... sono soltanto bullshits, solo stronzate».
In realtà, il generalone ha usato parole appena appena più educatine, quando dal Pentagono l’hanno chiamato al telefono a Kabul per dargli la bella notizia, perché lui è sì un militare, ma sa bene come si tratta con i capi che fanno politica, e come bisogna intortargli la realtà, per potergliela vendere; e comunque parlava specificamente della rete degli Haqqani, la banda più dura e spietata dei taleban, tagliagole Pashtun nerboruti e barbuti che si muovono tra Pakistan e Afghanistan. Al Pentagono, però, sanno interpretare bene le parole dei comandanti che operano sul campo, e hanno tradotto a dovere i ghirigori del loro generale. I taleban, tutti, non solo quei fottuti degli Haqqani, è meglio ammazzarli con un buco in pancia, prima di dargli un’oncia di credito.
Altro che la pace prossima ventura, dunque, e piuttosto uno sprezzante scetticismo dei militari, che poi sono quelli che sul terreno a giocarsi la pelle ci stanno giorno e notte, e anche quelli che i diavoli che hanno di fronte li conoscono bene, la loro ferocia fanatica, la doppiezza con cui mascherano gli inganni, le trappole che montano per far saltare in aria gli «invasori» e sbudellarli quando non riescono a sgozzarli, che poi è la cosa che più gli piace. (Perché la guerra in Afghanistan è questa, senza giri di parole di reporter accomodanti o belle immagini televisive).
Ma in politica bisogna credere anche al diavolo. E allora, quel Dunford a tre stelle può dire quello che vuole ma, intanto, fra poche ore in un bianco edificio di Doha, un paio di rappresentanti taleban inturbantati e avvolti dentro ampie galabyie scure s’incontreranno con qualche diplomatico americano in completo blu e cravatta d’ordinanza, alla presenza anche (ma è tutto da confermare, ancora) d’un inviato dell’Alto consiglio di pace afghano.
Però, in realtà, anche se dal G8 l’hanno sparata come una notizia-bomba, e hanno parlato dell’apertura di un ufficio «diplomatico» dei taleban a Doha come d’un avvenimento eccezionale, in realtà nella capitale del Qatar è da più d’un anno (era il marzo del 2012) che ha un suo regolare indirizzo la turba dei taleban, e che a quell’indirizzo da più di un anno c’è sempre gente che incontra gente. E non è solo gente con il turbante fasciato sulla testa.
Certo, passare dalla semiclandestinità a un annuncio ufficiale è un bel salto. E lo scetticismo del generalone di Kabul deve comunque farsene una ragione. Ma l’idea di vedere il mullah Omar, sì, lui, Omar il Guercio, quello che chiamava gli afghani al jihad contro gli infedeli, lo stesso che se n’è scappato irridente sul sellino d’una moto da cross mentre i marines montavano una gigantesca caccia all’uomo a mani poi vuote, l’idea di vederlo in doppiopetto per le strade di Doha che stringe la mano a un inviato della Casa Bianca è comunque un’ipotesi assai azzardata.
E però azzardata, poi, fino a un certo punto, perché lo choc delle Torri Gemelle dodici anni fa ci ha spazzato via la memoria ma, prima che ci fosse quella terribile cosa, la gente di Bush a New York intanto trattava, ufficialmente non in clandestinità, con la gente di Omar (e di Bin Laden), e la trattativa riguardava non soltanto il futuro politico di Kabul e che posto dare ai «signori della guerra» che pure avevano battuto l’Armata Rossa, ma anche un gigantesco oleodotto con capitale americano che avrebbe dovuto attraversare le montagne e i deserti dell’Afghanistan da Nord a Sud evitando trappole e desvii dal Caspio in giù.
Comunque, Karzai, appena avuta notizia del nuovo negoziato, lui che sempre aveva minato ogni tentativo di dialogo che non fosse egli stesso a gestirlo, si è fatto subito avanti, dicendo ci sono anch’io e rivendicando a se stesso il ruolo di interlocutore massimo d’ogni taleban; i taleban, naturalmente, dicono no e continuano a dire no, che lui è solo una marionetta nelle mani degli americani e che con lui nemmeno ci parlano. E anche se in politica mai non vale mai, il problema però esiste comunque, e non è piccolo.
Lo stesso Karzai, tuttavia, si propone al tavolo del negoziato con una prosopopea più pomposa, perché proprio ieri la Nato gli ha riconsegnato l’Afghanistan, dicendogli: è tuo, da oggi in poi saranno le tue truppe a garantire stabilità e pace. Nessuno ci crede molto, che la guerra sia finita; già c’era stato un Presidente che aveva detto «Missione compiuta», e sappiamo come poi è andata a finire.