Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 19 Mercoledì calendario

ONORATI, VITTIMA E PERSEGUITRICE

Giornata di intitolazioni, l’altro ieri a Milano. La Provincia, guidata dal pidiellino Guido Podestà, ha consacrato l’auditorium a Enzo Tortora, giornalista e conduttore, scomparso 25 anni fa e che era finito nel tritacarne della giustizia dei pentiti. Lunedì ricorreva il 30mo anniversario dell’arresto. Nello stesso giorno il Comune, guidato dall’arancione Giuliano Pisapia, ha intitolato un’area verde a Camilla Cederna, giornalista engagée negli anni ’70, scomparsa nel 1998. A connettere i due episodi, ci sono le parole che Cederna pronunciò dopo l’arresto di Tortora e che il giornale online, Linkiesta, ha pubblicato l’altro ieri. «Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole», disse la Cederna alla Domenica del Corriere, «non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto. E non mi piaceva il suo Portobello: mi innervosiva il pappagallo che non parlava mai e lui che parlava troppo, senza mai dare tempo agli altri di esprimere le loro opinioni. Non mi piaceva», aggiunse, «neppure il modo con cui trattava gli umili: questo portare alla ribalta per un minuto la gente e servirsene per il suo successo personale era un po’ truffarla. Il successo ottenuto così si paga. Non dico che tutti quelli che hanno un successo di questo genere finiranno così, ma lui lo sta pagando in questo modo. Non ho per ora elementi per dire di più». La cronaca milanese del Corriere, ieri ha riportato le sfogo delle nipoti della Cederna, che hanno ricordato come, per arrivarci, «ci siano voluti 16 anni». Il quotidiano ha messo in relazione la lunghezza dell’iter amministrativo alle polemiche che accompagnarono il caso di Luigi Calabresi, il commissario milanese che indagò sulla strage di piazza Fontana, nel 1969. La Cederna scrisse per L’Espresso una inchiesta sulla morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, caduto da una finestra durante gli interrogatori. La giornalista ipotizzò che Pinelli fosse stato ucciso e poi buttato dalla finestra per simulare un suicidio. Secondo quanto stabilito nel 1975 dal giudice Gerardo D’Ambrosio, futuro senatore Pd, l’anarchico però cadde dalla finestra per un malore in una pausa dell’interrogatorio. La Cederna fu però l’autrice, nel 1971, di una lettera a L’Espresso, firmata da 757 esponenti della sinistra, in cui si scriveva, a proposito del processo sulla morte di Pinelli, che «chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato la possibilità di ricusare il suo giudice». E si chiedeva l’allontanamento dalle istituzioni di «commissari torturatori». Nel 1972, Calabresi fu freddato sottocasa da un commando terroristico che, secondo la giustizia, era composto da da quattro esponenti di Lotta continua: Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, che avrebbero ucciso su mandato di Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, leader del gruppo. Sentenze basate sul pentimento e la collaborazione con la giustizia di Marino, mentre gli altri tre si sono sempre dichiarati innocenti. Quello contro Calabresi non fu l’unico appello all’indignazione della Cederna. Sempre dall’Espresso guidò una campagna contro l’inquilino del Quirinale, alla fine degli anni ’70, Giovanni Leone. E un suo libro, Giovanni Leone la carriera di un presidente, vendette 600mila copie, tanto che il presidente si dovette dimettere per il presunto coinvolgimento nello scandalo delle forniture all’Aeronautica degli aerei Hercules della Loockheed, per le quali sarebbero state pagate tangenti. Anche in questo caso però la verità della Cederna non coincideva con quella giudiziaria: i figli del vecchio presidente querelarono la Cederna per i racconti che li riguardavano, ottenendo ragione fino in Cassazione, mentre Leone padre si rifiutò sempre di farlo. Non farà in tempo, l’ex-presidente, scomparso nel 2001, a sentire pronunciare parole di solidarietà da uno dei suoi successori: fu infatti Giorgio Napolitano, nel 2011, a riconoscerà che Leone aveva «anteposto fino all’ultimo l’interesse dello Stato e delle sue istituzioni a ogni altra considerazione personale e offrendo al Paese una testimonianza di sensibilità e dignità morale». A Leone risulta intitolata una via a San Nicola La Strada (Caserta).