Stefano Lorenzetto, il Giornale 19/6/2013, 19 giugno 2013
Il Giornale, 19 giugno 2013 Non c’è pace per la giudice velista. Soprattutto non c’è giustizia
Il Giornale, 19 giugno 2013 Non c’è pace per la giudice velista. Soprattutto non c’è giustizia. L’avevano costretta ad abbandonare la toga per disperazione dopo un linciaggio mediatico che poggiava su una notizia falsa: la partecipazione a una regata internazionale approfittando di un’assenza per malattia, mentre in realtà stava usufruendo delle sue ferie arretrate. Era stata scagionata dal Gip di Trento, che aveva archiviato («perché il fatto non sussiste ») il procedimento penale per truffa ai danni dello Stato. Non era mai stata condannata e neppure censurata quale assenteista. Aveva persino ricevuto una lettera in cui Nicola Mancino,all’epoca vicepresidente del Csm e capo della commissione disciplinare che la mise sotto inchiesta, diceva di «comprendere le ragioni della sua amarezza per essere diventata un capro espiatorio di disfunzioni - vere o presunte - della giustizia e della magistratura». Bastavano queste premesse a giustificare il legittimo desiderio di Cecilia Carreri, fino al 2008 giudice per le indagini preliminari («non di sinistra: nessuno è perfetto») presso il tribunale di Vicenza, di tornare a indossare quella toga che si era tolta dalle spalle da sola prim’ancora che il Consiglio superiore della magistratura le infliggesse una sanzione disciplinare (decurtazione di un anno di anzianità e trasferimento d’ufficio ad altra sede) per aver «leso il prestigio della magistratura». Ma il capo dello Stato, che del Csm è il presidente, ha deciso che il capro espiatorio non ha diritto neppure alla grazia. La motivazione del diniego appare kafkiana: la Carreri non può essere perdonata perché non è mai stata condannata. «La mia istanza non è valutabile perché non ho commesso alcun crimine e Giorgio Napolitano può concedere la grazia solo a feroci assassini», spiega l’interessata sbigottita. «Dunque era meglio se ammazzavo qualcuno. O se mi facevo corrompere. O se estorcevo del denaro, uniformandomi ai costumi di alcuni miei autorevoli colleghi. Pensi, non ho neppure partecipato alla trattativa tra Stato e mafia con telefonate compromettenti. Ho solo praticato uno sport. Sono andata in barca a vela per curarmi da una grave patologia lombosacrale e da uno stato depressivo attestati con 68 certificati medici e 7 Tac, come è emerso da tutte le visite fiscali e come ha accertato la perizia ordinata dal pubblico ministero, tanto che non mi fu mai revocata l’aspettativa per motivi di salute. Troppo poco. Non ho diritto ad alcun atto di clemenza». L’agonia dell’ex giudice comincia cinque anni fa, quando inoltra a Napolitano un ricorso straordinario per rientrare in magistratura. Primo intoppo:«Il Csm fa sparire ben due lettere con le quali avevo ritirato le mie dimissioni e dà parere negativo al reintegro». Il presidente della Repubblica recepisce in pieno con un Dpr, tramite il Consiglio di Stato, quel parere. «Da notare che il Csm era in conflitto d’interessi, perché a suo tempo deliberò sulle mie dimissioni». Alla giudice velista non restava che una mossa: «Invocare un atto di clemenza affinché Napolitano, nella sovranità e nell’assoluta discrezionalità dei suoi poteri, rimediasse al clamoroso errore giudiziario, cancellando il Dpr che aveva firmato senza neppure leggerlo». La risposta del Quirinale non s’è fatta attendere ed è giunta in questi giorni attraverso l’Ufficio per gli Affari dell’amministrazione della Giustizia: «Pur comprendendo la sua situazione, le debbo far presente che la grazia - unico provvedimento di natura clemenziale di competenza del presidente della Repubblica- può intervenire solo sulle sanzioni penali ( pena principale e pene accessorie) inflitte con sentenza irrevocabile; non anche sui provvedimenti di carattere amministrativo, adottati nei suoi confronti dal ministero della Giustizia e dal Consiglio superiore della magistratura e neppure sulle decisioni che hanno definito il ricorso straordinario al capo dello Stato, da lei proposto avverso gli stessi. Pertanto, la sua istanza è stata posta agli atti». Traduzione: cestinata. Rammarico finale: «Spiacente di non poterle dare una diversa risposta». «Ho letto che il ministro Anna Maria Cancellieri sta reclutando di corsa 400 magistrati per fronteggiare l’emergenza della giustizia civile», commenta Cecilia Carreri. «Mi sembrava d’aver capito che non avesse bisogno di giudici: infatti non ha neppure risposto alla mia istanza di riassunzione in servizio che le ho inviato un mese fa. Non mi vuole proprio nessuno, né il capo dello Stato, né il ministro della Giustizia. In compenso vedo che il noto bandito Graziano Mesina, graziato dall’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi, è stato arrestato con l’accusa di spacciare droga. Se negli anni Sessanta, invece di rapire inermi cittadini, fosse solo andato in barca a vela nel mare di Sardegna, presumo che non l’avrebbero mai fatto uscire di galera e lo Stato si sarebbe così risparmiato questa figuraccia». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: Hic sunt leones (Marsilio). LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Tredici libri: La versione di Tosi e Hic sunt leones i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.