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 2013  giugno 18 Martedì calendario

TUTTE LE CORRENTI DEI CINQUESTELLE

Sembrava già un arcipelago, chiaro, netto, definito nei confini e nei destini, dissidenti, ortodossi e pontieri. Et voilà, perfetto, anzi ottimo per tentare la famosa conta. Immaginare il rivoluzionario ribaltone.
In poche ore è tornato un magma abbastanza frantumato e con una precisa caratteristica: la poca, in ogni caso scarsa, progettualità politica.
Di certo, quello che rimane del Movimento Cinque stelle dopo cento giorni esatti di Parlamento (le Camere si sono insediate il 15 marzo) sono «pezzi» sempre più in guerra tra loro, sospettosi fino al dossieraggio reciproco, commissariati fino alla nausea dalla spectre dei responsabili comunicazioni, un piccolo esercito di una dozzina di persone tutte legate a triplo filo con la casamadre Casaleggio e associati, ognuno con più e svariati incarichi che ormai presidia il territorio (Transatlantico di Camera e Senato) e ogni angolo dove un parlamentare Cinque stelle intrattiene una conversazione con un giornalista. Smania di controllo che se può essere sopportata da uno più giovane, diventa insopportabile per i più maturi, soprattutto dalle parti del Senato.
Il caso Gambaro ieri era atteso come il big-bang, il tana-libera-tutti, il momento del non ritorno e di chiarezza del Movimento Cinque stelle. I grillini hanno preferito prendere tempo. Per due motivi: non hanno ben chiaro dove andare e a fare cosa. Restano, al momento nella stessa abitazione. Sempre più un condominio dove «uno vale uno» è stata solo una bella bugia e dove, invece, si organizzano correnti e si studiano i momenti.
Le fratture sono di diversa natura. Al Senato il problema si chiama soprattutto «democrazia interna» e «forte irritazione per certi metodi talebani». Sarà che i 53 senatori sono uomini e donne con alle spalle storie che non sono solo i meet up a Cinque stelle, è qui che si sono intravisti i primi mal di pancia, fin dai tempi del voto a Grasso per la presidenza del Senato. Battista, Buccarella, Fucksia, Campanella, Bencini, Cotti, Gambaro, Bocchino, Santangelo, Bertorotta, Pepe, Montevecchi, Nugnes: se uno scorre le loro dichiarazioni in questi tre mesi, coglie un minimo comun divisore, l’insofferenza per i capi comunicazione, per il tono di certi post, per le riunioni inutili, per il nulla di fatto di questi mesi.
Ai problemi di «democrazia interna» si è aggiunto nelle ultime settimane un problema più politico.
«C’è poco da fare, a molti di noi non è mai andato giù il fatto che otto milioni di italiani ci hanno votato per cambiare le cose e noi invece li abbiamo delusi sbarrando le porte all’offerta di Bersani» racconta un senatore che fa un po’ da guida in questa mappa grillina e che con imbarazzo chiede di restare anonimo «per quieto vivere».
Più esplicito un ex, uno già espulso perché andava troppo in tv, il senatore Marino Mastrangeli: «Furono fatte due o tre riunioni in quelle lunghe settimane in cui Bersani non riusciva a fare il governo. Su 153 parlamentari, tra i 60 e i 70, nelle varie votazioni, volevano tentare l’accordo con la parte sana del Pd. Avremmo potuto trovare il modo di superare lo scoglio della fiducia. Di questi una ventina erano i senatori».
A questo punto occorre fissare uno spillo con una cifra: quella ventina di senatori che già all’epoca avevano il rimpianto di non aver tentato un governo con Bersani, adesso sono diventati una trentina perché si sono aggiunti quelli che non ne possono più di veti, diktat e ordini dal web. Vale la pena osservare, più per il futuro che per il presente, che 25 sono i voti che servirebbero al Senato a Pd-Sel-Scelta civica per creare una nuova maggioranza qualora Berlusconi decidesse di staccare la spina al tandem Letta-Alfano.
Più frammentata perché più politica la situazione alla Camera dove i grillini sono di più (109 ma due si sono già persi per strada, i tarantini Furnari e Labriola) e più giovani. Certe arroganze delle prime settimane, dove si sentivano il centro del mondo, hanno lasciato spazio, non sempre, a facce spaesate, sguardi preoccupati, solitudini e imbarazzi.
Si può riconoscere - sperando con questo di non fare né torto né danno ad alcuno - un’anima che guarda più alla sinistra del Pd e che ha un capo corrente ideale in Tommaso Currò. Memorabile uno schetch ieri mattina alla Camera (ore 11) quando il rottweiler Rocco Casalino (dello staff comunicazione) cercava di azzannare Currò il quale si è rivoltato dicendo: «Siete voi che avete cambiato le regole a gioco iniziato, io continuerò a parlare e a dire quello che penso». C’è un’anima più ambientalista che fa capo al giovane Adriano Zaccagnini. Una via di mezzo tra le due è Alessio Tacconi. Più a destra, talvolta anche a colloquio con Guido Crosetto, ci sono i nord-est Rizzetto e Prodani. Dietro di loro, ciascuno di loro, si muove un’area di circa venti persone pronte a lasciare la casa madre, il Movimento, se dovesse radicalizzarsi troppo.
È per evitare questo rischio, che potrebbe per paradosso rafforzare i Cinque stelle, che nulla si è mosso finora. E si è assistito a fughe in avanti e improvvisi ritorni. Ma può essere un attimo passare dal troppo presto al troppo tardi e restare a mani vuote.