Fulvio Abbate, il Fatto Quotidiano 18/6/2013, 18 giugno 2013
Storicamente (e televisivamente parlando), gli "speciali" dedicati ai cantanti sono sempre stati un genere secondario e soprattutto, sia detto con massima sincerità, pallosissimo, mortale, contrario all’estetica comune televisiva, una sorta di gran marchetta pubblicitaria estranea al palinsesto del canale emittente stesso
Storicamente (e televisivamente parlando), gli "speciali" dedicati ai cantanti sono sempre stati un genere secondario e soprattutto, sia detto con massima sincerità, pallosissimo, mortale, contrario all’estetica comune televisiva, una sorta di gran marchetta pubblicitaria estranea al palinsesto del canale emittente stesso. Penso a certi remoti episodi dedicati ai divi del "Cantagiro", come "Casco d’Oro" oppure "Il Reuccio", penso alle incursioni del mondo di un Tony Astarita o, che so?, di una Betty Curtis... In tempi assai più recenti l’unico "artista" che regga questo genere di "omaggio", tra backstage e arena o stadio colmi del pubblico trepidante con merchandising bene in vista, escludendo l’Imperatore Rossi Vasco, è soltanto Antonacci Biagio, l’unico vero gatto morto di successo della nostra canzone dischettara, dove questa definizione non sembri un insulto, ma corrisponde alla sostanza tematica più evidente della persona, del personaggio. Biagio Antonacci, del quale sempre rammenteremo l’esordio parodia-omaggio ai danni di Concato Fabio - ossia "Il festival di Gabicce Mare" - sinceramente parlando, così come è apparso l’altra sera su Canale 5 nell’ennesimo omaggio dedicatogli, mostra infatti tutti i segni distintivi, tutti i connotati del ragazzo terribilmente compiaciuto dall’attenzione femminile riservata al suo talento, ai suoi deltoidi, al limite appunto del gattomortismo, come già testimoniava un videoclip di qualche anno fa, dove tutte le più fighe smart del reame gli ballavano intorno, dalla figlia sciroccata di Celentano Adriano pronta a stampargli un bacio sulla bocca all’adorante Ilaria D’Amico. Quanto basta per catalogarlo tra i "convinti", massima offesa che si possa riservare al narcisista compiaciuto modello base, e invece, nonostante questi crimini inferti al sogno di una doverosa ironia, Antonacci si fa ugualmente apprezzare, e alla fine gli perdoni pure il faccione da gattino bagnato in cerca di carezze che sovente ostenta in sede d’intervista, così come il taglio a zero dei capelli da Padre Kolbe del rock melodico, insomma, quel suo "...ma quanto tempo e ancora, ti fai sentire dentro? Quanto tempo e ancora, rimbalzi tra i miei sensi? Quanto tempo e ancora, ancora tu l’amore..." resta uno dei migliori colluttori sentimentali e canori degli ultimi decenni... Per questa ragione il nostro sguardo è rimasto incollato a quel suo "speciale", per questa ragione non abbiamo potuto fare a meno di glissare sulle banalità che lì c’era modo di sentirgli pronunciare; in breve, uno come Antonacci riesce a farti andare fino in fondo nella lettura del dépliant filmato del suo concerto, nonostante tutto, nonostante lo stesso Biagio. Se non è talento questo? Di sicuro si tratta di uno dei pochi volti della musica rispetto al quale non ti passerà mai per la testa di chiedere di firmare un appello, fosse anche quello assai banale per la pace nel mondo, e questo perché, come forse si è già detto, Antonacci è l’unico vero garantito orsacchiotto del rock nostrano, la coperta di Linus di se stesso.