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 2013  giugno 18 Martedì calendario

LA RECENSIONE, STRUMENTO DI DEMOCRAZIA

Per anni un caposervizio tenne affisso sulla lavagna dietro le spalle il ritaglio d’un articolo da me firmato: sopra aveva vergato con il gesso «come non si scrivono le recensioni». Quali erano le colpe? Uso il plurale perché erano più d’una. La prima, l’uso smodato dell’ellissi. Ossia, per voler dire tutto, di più, sempre di più, le frasi finivano con l’accavallarsi, d’ognuna d’esse se ne lasciava una parte nella mente degli dèi o di lettori creduti consanguinei, o indovini, o essi stessi divinità. La seconda colpa, ancor più colpevole, d’usare termini tecnici, o supposti tali, o tenuti dallo scrivente in grande considerazione — con quale finalità è facile indovinare. Non voglio con ciò dire che i termini tecnici non siano più precisi o addirittura più eloquenti. Ma la prima difficoltà dello scrivere recensioni sta, nel caso si disponga di quei termini, o d’una parte di essi — secondo la disciplina che li ha forgiati, con la quale si vuole esaminare l’oggetto, e valutarlo in rapporto a essa o, che sarebbe di più, alla propria «visione» della vita — la prima difficoltà, dicevo, sta nel passare nel modo più conciso ma più chiaro da un linguaggio a un altro, da un sistema linguistico (da un codice) al modo in cui tutti noi parliamo.
Questo processo ci riporta alla prima colpa. Si fa presto a dire: tradurre, essere concisi, essere chiari. Il punto è: come essere chiari e brevi senza disperdere il patrimonio di conflittualità che si vuole trasmettere? Il rischio è appunto l’ellissi, l’accumulo, un accumulo che rischia incomprensibilità, insensatezza. D’altra parte questo è l’abc, i presupposti, — tipici delle recensioni che (io credo) sono sempre esistite ma in altro senso hanno avuto un inizio e sono già finite. L’era delle recensioni, se non proprio finita, è al tramonto.
Quando dico che sono sempre esistite e continueranno a esistere, mi riferisco a un’entità che non è una recensione: è il commento. La maggior parte della letteratura, ovvero del pensiero umano, è riflessione intorno a qualcosa che è stato già detto, già pensato — o che si presuppone tale sia. Si comincia sempre dalla metafisica (di cui l’ellissi è una particola nell’ordine della sintassi) e sensatamente si approda ai «piedi per terra».
In quanto alle recensioni vere e proprie, questi «piedi per terra» sono il prodotto d’una civiltà in via d’espansione, che tende ad allargare il proprio orizzonte culturale. Ma che civiltà è questa civiltà se non una di primi della classe o di gruppi sociali che si affrancano, si espandono, bramano assicurarsi un beneficio? In altri termini, le recensioni sono il frutto d’una società classista — che intravvede laggiù, lontano, un orizzonte democratico. Quando questo processo giungerà al termine non ci saranno più recensioni. Esse sono, per principio, il dovere di tenere la barra diritta, mantenere l’ordine nella dispersione, conservare in vita il criterio della selezione (cioè della gerarchia) laddove si accetta comunque (lo si sta verificando) che nulla è meglio della democrazia.
Ecco, direi che questo libro di Mauro Bersani, questa antologia di sconcertante fascino per la molteplicità delle voci, per la peculiarità d’ognuna d’esse, per le sorprese che riserva (sia a chi aveva dimenticato; sia, suppongo, a chi non aveva potuto conoscerle per ragioni anagrafiche) è già, o quasi, un epicedio. Non so se epicedio sia una parola tecnica, la direi meno frequente di altre, quindi non la tradurrò. Aggiungerò solo che come scrivevano Montale e Cecchi, o Gramigna e Raboni, si scriverà sempre meno. Non solo perché erano persone di quel rango. Ma perché la loro cultura esigeva di conservare un privilegio (la mediazione) che non è richiesto. Esso probabilmente non serve più o, tra breve, risulterà fastidioso, ingombrante, dispendioso.
Franco Cordelli