Marco Imarisio, Corriere della Sera 18/06/2013, 18 giugno 2013
LA METAMORFOSI DEL MOVIMENTO E LA «MALEDIZIONE» DELLA DIRETTA
Come farsi male da soli, e neppure in diretta. Verso la fine dell’assemblea c’è stato un momento in cui nella confusione di tanti linguaggi diversi un senatore si è avvicinato al nocciolo della questione mediante un legittimo slancio d’orgoglio. «Dite quel che volete, chiamateci come volete, ma siamo l’unico gruppo di potere, siamo l’unica lobby che accetta lo streaming delle sue riunioni quando deve regolare le proprie vicende interne».
In quelle parole c’era anche molta frustrazione. Forse c’era anche la consapevolezza del fatto che tutto questo strazio sulla sorte di Adele Gambaro rappresenta al meglio la recente capacità di autolesionismo del Movimento 5 Stelle, che sembra entrato, almeno mediaticamente, in quella spirale dove come ti muovi, sbagli. La vicenda della senatrice ribelle che ha osato criticare le esternazioni del Portavoce supremo — nel dibattito c’è stato anche un accenno di idolatria — non è di grande interesse, per nessuno. Non lo è per i tanti italiani che appena lo scorso febbraio hanno votato M5S chiedendo a gran voce un cambiamento del modo di fare politica, non lo è neppure per i fedelissimi di Beppe Grillo, che vorrebbero cacciare la dissidente solo per non assistere al crollo di un dogma tutto loro, quando invece dovrebbero essere ben altre le preoccupazioni.
Nonostante la conclamata irrilevanza della faccenda, ieri pomeriggio era difficile staccare occhi e orecchie dalla riunione dei senatori M5S. C’era qualcosa di ipnotico, in una riunione che per gli astanti metteva in palio la conquista dell’inutile, perché si sapeva bene che a decidere tutto sarebbe stata l’assemblea congiunta con il plotone dei parlamentari, muniti di equilibri interni ben diversi da quelli senatoriali, e numeri preponderanti a favore dei fedelissimi alla linea. Eppure era giusto rivendicare con orgoglio lo streaming, perché in quella scelta risiedeva quel che resta della diversità percepita di M5S. Un esercizio di crescita in pubblico, come mai si è visto alle latitudini della nostra politica, da sempre abituato al sipario chiuso, al retroscena.
Il problema con gli esercizi, pubblici o meno, è che non sempre riescono. A ogni diretta in streaming dei parlamentari Cinque Stelle, un esercito di elettori di M5S fuoriusciti da altri partiti rientra mestamente nei ranghi, e quella di ieri non ha fatto eccezione. M5S sta cambiando pelle. Il contatto con la politica nazionale sta producendo una mutazione genetica. I Cinque Stelle avevano una identità ben definita prima dello sbarco a Roma, e com’erano differenti i toni cupi di ieri da quelli gioiosi, da gita scolastica, della prima diretta nella hall dell’albergo che all’inizio di marzo aveva ospitato la prima riunione dei neo parlamentari. Adesso non si capisce bene cosa sono diventati.
La diretta di ieri è il referto sullo spaesamento in atto. L’uscita tartufesca di Vito Crimi, che ha proposto di far giudicare la Gambaro alla Rete, ben sapendo che la Rete a Cinque Stelle ha già emesso il verdetto esibendosi nel linciaggio preventivo della senatrice, ha reso evidente la fine definitiva dello spirito idealista dei meet up. Quando i gruppi erano pronti anche a scannarsi per questioni ideali, ma alla fine si tenevano insieme, senza tentare di mettere fuori con qualche trucco i dissidenti. Al netto di alcune uscite piuttosto strambe, le posizioni dei senatori erano piuttosto eterogenee su tutto, non solo sul destino della collega. «È fuori». «Deve restare». «Sì, ma prima chieda pubblicamente scusa a Grillo». «No, meglio che gli telefoni».
Neppure sull’uso della metafora sportiva si è trovato il giusto mezzo. Maurizio Romani ha usato il rugby per dire che nei pacchetti di mischia non si abbandona mai il compagno di squadra che sbaglia. Ha aggiunto anche una considerazione interessante che in bocca a un militante di M5S può sembrare eresia: «Non ci possiamo fidare della rete perché lì ho visto molto risentimento e rancore». Invece di cogliere il senso, l’arbitro siciliano Vincenzo Santangelo lo ha colto in fallo sull’autoconfessione di una intervista non autorizzata a Ballarò, per altro mai andata in onda. «Questo è un tackle da spezzare le gambe». Con sguardo severo: «Il cartellino rosso è per te». Ha anche mimato il gesto, e sembrava Flavio Briatore quando dice «sei fuori» agli aspiranti carrieristi del suo show.
Alla fine i senatori sembravano propensi all’assoluzione, nonostante le urla e i tentativi di uno zoccolo durissimo capitanato da Crimi e altre Erinni. Ma ciò che contava davvero, per chi assisteva da un computer, era lo stato di salute del Movimento. Forse è per questo che dopo averlo autorizzato per i senatori, l’assemblea congiunta ha bocciato quella diretta che prima rivendicava con fierezza. Certi spettacoli possono turbare gli spettatori sensibili. E senza streaming si può ancora fingere di essere sani.
Marco Imarisio