Paul Krugman, Il Sole 24 Ore 15/6/2013, 15 giugno 2013
DRAGHI NON SI FACCIA TENTARE DAI FALCHI
Un corrispondente mi fa notare, quasi in preda alla disperazione, l’ultima parte di una dichiarazione di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, a una conferenza stampa. Ha ragione: c’è di che scoraggiarsi. Draghi, dopo tutto, è un presidente intelligente e flessibile come non ne vedremo per molto tempo. Può anche darsi perché l’euro potrebbe non sopravvivere.
Veniamo alle osservazioni di Draghi. Gli rivolge una domanda uno tra i presenti, presumibilmente spagnolo: «Sono originario di un paese che ha un tasso di disoccupazione del 27%, che è come dire forte depressione, una politica fiscale di austerità e una politica monetaria altrettanto severa, perché alle Pmi non è accessibile il credito. Intende forse dire al popolo spagnolo, portoghese, irlandese o anche italiano che la Bce non può fare nient’altro con un’inflazione che di fatto è inferiore al 2 per cento?». Ecco la risposta di Draghi: «Beh, non sono sicuro di cogliere il punto, ma forse ci arrivo. Primo, il fatto che l’inflazione sia bassa non è un male di per sé. Con un’inflazione bassa si possono fare più acquisti. Secondo, non vediamo alcuna deflazione ed è questa che dobbiamo temere. Ancora non se ne vede traccia». Poi Draghi prosegue difendendo le politiche di austerity, e così facendo affronta altri temi spinosi. Ma focalizziamoci su questa parte.
Primo: «Con un’inflazione bassa si possono fare più acquisti»? Non insegniamo forse agli studenti di economia del primo anno perché questo concetto è un errore ingenuo? Che bassa inflazione significa anche crescita inferiore degli utili e che il costo dell’inflazione non ha niente a che vedere con un ridotto potere d’acquisto? Va bene. Per quanto ciò risulti allarmante, quello che conta per la politica è la dichiarazione di Draghi secondo cui «non vediamo alcuna deflazione ed è questa che dobbiamo temere». Wow. Forse questo non si insegna a Economia al primo anno, ma credevo che ogni economista serio capisse che non esiste una linea rossa in coincidenza dell’inflazione zero, così che la bassa inflazione diventa un problema potenziale solo e soltanto se si supera la soglia zero.
Esistono due ragioni per le quali credere che l’inflazione nelle economie avanzate in genere, e in Europa in particolare, è al momento troppo bassa e dannosa. La prima è che stiamo soffrendo perché la domanda è inadeguata e il limite inferiore allo zero sui tassi di interesse è un freno importante per la politica monetaria. Larry Ball, economista e professore alla Johns Hopkins University, ritiene che i tassi di disoccupazione negli Stati Uniti negli ultimi anni sarebbero stati in media di 2 punti percentuali inferiori se fossimo entrati nella crisi finanziaria con un’inflazione al 4% invece che al 2.
L’altra questione relativa all’inflazione è la rigidità salariale nominale verso il basso e in certa qual misura la rigidità dei prezzi nominali verso il basso. Potreste anche pensare che questi siano problemi solo se fossimo davvero in presenza di una deflazione, ma poiché prezzi e salari cambiano di continuo, la verità è che questa rigidità verso il basso inizia a essere un problema in un’economia depressa anche a tassi di inflazione bassi e sopra lo zero. Tutto ciò è molto chiaro negli Stati Uniti. Nella zona euro, invece, dove ci si aspetta che i paesi debitori raggiungano forti «svalutazioni interne», questa è una faccenda molto più seria.
Trovo difficile credere che Draghi non sia consapevole di queste questioni. Forse sta semplicemente giocando con i falchi dell’inflazione che siedono nel suo consiglio. Anche così, però, il fatto che queste antiche credenze erronee siano tirate fuori ancora oggi, con l’Europa che si trova in quella che è una vera depressione, lasciatemelo dire: beh, è molto deprimente.
Paul Krugman
(traduzione di Anna Bissanti)