varie, 17 giugno 2013
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 17 GIUGNO 2013
«Questa sera andrò a festeggiare la partenza di un caro amico di 38 anni, che domani prenderà l’aereo destinazione Singapore. Lì lo aspetta un lavoro qualificato, pagato, dignitoso, di alta specializzazione. Un lavoro che ha cercato in Italia per troppo tempo perché, per l’ennesima volta, l’azienda per cui lavorava ha chiuso o delocalizzato. Sono ovviamente contento per lui, ma stasera, con gli amici d’infanzia, non so ancora se festeggeremo un nuovo inizio o intoneremo l’ennesimo de profundis della mia generazione» (dalla lettera di Antonio Cascio a Massimo Gramellini). [1] «Caro Gramellini, mi rivolgo subito, sia pure indirettamente, ad Antonio Cascio e al suo amico. A loro devo prima di tutto delle scuse. Le scuse a nome di una politica che per anni ha fatto finta di non capire e che, con parole, azioni e omissioni, ha consentito questa dissipazione di passione, sacrifici, competenze» (dalla lettera di risposta del premier Enrico Letta alla Stampa). [2] Tra il 2000 e il 2010 hanno lasciato l’Italia 316 mila giovani tra i 25 e i 37 anni, muniti di laurea e con ambizioni professionali di alto profilo. I dati arrivano da una ricerca condotta dal programma Giovani talenti di Radio24. Il primo paese verso cui emigrano i cervelli italiani è la Germania, seguita da Inghilterra, Francia e Stati Uniti. All’ottavo posto c’è già la Cina, al nono il Brasile. [2] «Tutto questo non sarebbe un problema se rientrasse nel normale flusso fisiologico dei cervelli che esiste in tutto il mondo sviluppato. Per esempio da noi il tasso di espatri di laureati in discipline scientifiche (matematica, fisica, chimica, biologia) è del 16,2%, contro il 23,3% della Germania, il 25,1% della Gran Bretagna, il 21,1% del Belgio. Il problema è che da noi chi esce non rientra» (Giuliana Ferraino). [3] Il caso di Mariolina Eliantonio, 34 anni, di Pescara, ricercatrice e insegnante presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Maastricht: «In Italia la carriera universitaria è impossibile, tutti sanno che le selezioni per i dottorati non sono trasparenti. E non parliamo dell’avvocatura, per anni non vedi un soldo. In Olanda, invece, ho trovato rispetto e solidarietà sociale. Qui lo Stato non è percepito come un’entità estranea che chiede tasse e non restituisce. Se tornerei indietro? Assolutamente no». [4] Un giovane europeo su quattro è disoccupato, ma Germania e Svizzera hanno il problema di non trovare abbastanza forza lavoro specializzata. Così le aziende di lì hanno cominciato a rivolgersi ai Paesi dove la disoccupazione giovanile è più alta: Italia (42%), Spagna (55,8%), Grecia (58%) e Portogallo (38,2%). In Germania servono soprattutto ingegneri, specialisti in Information technology (IT), dottori. [3] Tasso di disoccupazione giovanile in Italia: 41,9% (dati Istat relativi ad aprile 2013). In numeri assoluti si tratta di 635 mila disoccupati, ma la popolazione totale in Italia di età 15-24 è composta da 6 milioni di individui. In realtà quindi, in Italia c’è un giovane disoccupato su 10 (un numero in ogni caso molto alto rispetto alla media europea). [5] L’Ufficio Statistico federale tedesco ha fatto sapere che in termini assoluti l’Italia è il Paese del Sud Europa che nel 2012 ha fatto registrare più partenze verso la Germania: 38.500 persone (+40% rispetto al 2011). I nuovi immigranti sono dieci anni più giovani della media dei cittadini tedeschi e hanno per lo più una laurea. [6] Il vertice di venerdì scorso tra i ministri delle Finanze e del Lavoro di Italia, Francia, Germania e Spagna ha portato alla scelta di concentrare in un anno solo la spesa dei 6 miliardi su scala europea (sono 400 milioni per l’Italia) del piano per l’occupazione giovanile Youth Guarantee. [7] Secondo un calcolo aritmetico, i fondi europei a disposizione, se distribuiti personalmente, garantirebbero ai 5,6 milioni di giovani senza lavoro in Europa poco più 150 euro l’anno: 42 centesimi al giorno. [8] Nel 1983, in Italia, ogni dieci persone che andavano in pensione ce n’erano quindici assunte per la prima volta. Oggi ogni tredici uscite i nuovi ingressi sono solo quattro. [3] Il freelance Antonio Siragusa raccoglie sul suo blog www.iotornose.it le storie dei cervelli in fuga italiani. Alcuni esempi: il cardiochirurgo 39enne Ciro Mastroianni rinuncerebbe alla carriera avviata al Pitié-Salpêtrière di Parigi «se i baroni si faranno da parte per dare spazio ai giovani medici, se saranno applicate leggi che già esistono»; Flora, 37 anni, docente di Filosofia del diritto all’università di Hong Kong, pone una sola condizione: «Io torno se i concorsi pubblici non saranno più fasulli». [9] Il 61% dei giovani italiani pensa che in futuro la sua situazione economica sarà peggiore di quella dei propri genitori, il 17% uguale e solo il 14% migliore, mentre il 9% non risponde. «Per la prima volta dal dopoguerra la nuova generazione sarà più povera di quella che l’ha preceduta» (dall’ultima indagine Coldiretti). [10] Walter Passerini: «Senza infingimenti e demagogie, bisogna dire subito che l’estero non è per i giovani una sconfitta. Basta vedere quelli che si fanno onore nei diversi campi del sapere e dell’economia. Il vittimismo è figlio del familismo. Un’esperienza all’estero è da mettere in conto, in un mondo sempre più piccolo e globale. Semmai c’è da domandarsi perché l’Italia non è una meta allettante per i cervelli globali a caccia di opportunità (ne attiriamo solo il 2%, molti di meno di quelli che scappano)». [11] Al di là delle questioni di orgoglio nazionale, la fuga dei cervelli genera una perdita netta ogni anno di più di un miliardo di euro, vale a dire il capitale generato dai 243 brevetti che i nostri migliori 50 cervelli depositano all’estero. Un valore che, considerato nei prossimi vent’anni, potrebbe arrivare anche a quota tre miliardi, come mostra uno studio dell’Istituto per la Competitività. [12] Confindustria ritiene che, considerando università, dottorato, master, corsi di lingue eccetera, l’investimento per la formazione di un ricercatore costa allo Stato Italiano circa 800 mila euro. «Solo negli ultimi anni il nostro paese ha speso grosso modo cinque miliardi di euro e i nostri competitori increduli ringraziano del prezioso regalo» ha commentato Giorgio Squinzi. [2] Scrive Antonio Polito in Contro i Papà (Rizzoli, 2012): «Cedere i propri giovani a Paesi con un tasso di crescita e di occupazione più alto presenta sicuramente degli svantaggi. […] Ma nel breve periodo tolgono pressione dai nostri conti pubblici, perché non dobbiamo mantenerli direttamente con benefit o indirettamente con altra spesa sociale. E nel lungo periodo sono una riserva di forza lavoro qualificata che può sempre essere riattivata quando lo choc culturale, o il mutare della congiuntura o semplicemente la nostalgia di casa li riportasse indietro. Ciò che viene chiamata “fuga dei cervelli” potrebbe essere una situazione win-win, in cui cioè tutti guadagnano qualcosa. Mentre da noi arrivano professionisti di qualifica più bassa, soprattutto infermieri, dalla Romania, dalla Spagna e perfino dalla Germania. È così che funzionano le aree di libero scambio, dove circolano cioè liberamente le merci, i capitali e le persone, e la moneta è unica». [13] Note: [1] La Stampa 1/6; [2] La Stampa 2/6; [3] Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 31/5; [4] Enrico Caporale, La Stampa 30/12/2012; [5] Davide Maria De Luca, Il Post 15/5; [6] la Repubblica 7/5; [7] Marco Galluzzo, Corriere della Sera 15/6; [8] Fabrizio Ravoni, il Giornale 15/6; [9] Francesca Paci, La Stampa 3/6; [10] Grazia Longo, La Stampa 3/6; [11] Walter Passerini, La Stampa 3/6; [12] Flavia Amabile, la Stampa 20/8/2012; [13] Antonio Polito, Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli, Rizzoli 2012.