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 2013  giugno 15 Sabato calendario

DIECI ANNI DI SEI-UNO-ZERO, RING DADAISTA DI LILLO

& GREG –
Reclusi da dieci anni in uno studio dalle pareti arancioni con due microfoni, un pianoforte e un vetro a separarli dal resto del mondo, Lillo&Greg hanno scoperto l’alchimia per fottere l’anagrafe. In principio fu un contratto di sei mesi. Un tentativo estemporaneo di restituire in radio, con la surreale comicità di un ex duo di fumettisti, il tratto umoristico che Marenco, Boncompagni e Arbore avevano disegnato in Alto gradimento.
Di Radio2-610, il quotidiano ring di Lillo&Greg, Renzo è fedele ascoltatore. Se ogni eversione ha la propria epoca, la guerriglia sottotraccia di Radio2-610 ha conquistato il Palazzo d’Inverno guadagnandosi i galloni assegnati dal maestro: “Arbore ha detto che siamo l’Alto gradimento del 2000” nota Lillo Petrolo, feroce mercante d’arte nell’ultimo film di Paolo Sorrentino ed ex troppe cose per tenerle strette in poche righe. Un’eredità che al figlio di un poliziotto di Tor Pignattara sembra immeritata: “Loro rivoluzionarono il mezzo inventandosi un linguaggio, noi cerchiamo soltanto di essere originali”.
Un paragone che al suo compagno d’avventura, Claudio Gregori (“Uno a cui il massimo della modernità sembrano gli anni 70”, dice Lillo) serve solo per ribadire che sketch, parodie e feroci osservazioni su ladri, truffatori e manigoldi di Radio2-610 altro non sono che la prosecuzione di un antichissimo vizio “già visto all’epoca di Plauto”. Secondo Greg, che non legge i giornali e usa la televisione (“non ho neanche l’antenna”) solo per vedere qualche vecchio film, le dinamiche si ripetono immobili e per immaginare satira e riprodurre gli effetti del reale sulla società, non esiste nulla di più efficace di distaccarsi dall’informazione.
Sia come sia, Radio2-610 è un successo. Per il decennale, in un bizzarro esperimento teso a fondere Radio, teatro e Tv, Rai tre ha trasmesso in tarda serata una vivissima celebrazione del programma. Pochissimi soldi per le scenografie: “Quando mancano i denari ti ingegni”, giura l’illuminato direttore di rete Flavio Mucciante, il 5% di share, l’ipotesi di una nuova piattaforma in cui i linguaggi comunichino davvero e i compartimenti stagni tra medium saltino travolti dalla pressione delle idee. A Lillo&Greg non sono mai mancate. Si conobbero da ragazzi, a fine anni 80, in una casa editrice per fumetti. Redazioni dei testi, allegorie su carta, il progetto di una rivista tutta per loro in cui inventare storie e chiamare i migliori disegnatori della loro generazione alla sfida: “Eravamo pazzi di gioia”, ricorda Lillo. “Lavorammo per mesi senza distinguere il giorno dalla notte, l’idea di creare in pochi una rivista di genere, convocare autori internazionali, avere mano libera su una materia che risentiva della mitologia underground del Male e dei Pazienza, ci esaltò. Quando finimmo tutto ed eravamo finalmente pronti per andare in stampa, ci presentammo in redazione. Trovammo le porte chiuse. L’editore era fallito.
Ci ritrovammo per strada, vagamente disperati, senza una lira in tasca e una latente depressione”. Allora Greg il musicista, quello con il padre pittore e la madre figurinista: “Troppo pigra per proseguire e non recitare tutto il resto della sua vita da casalinga”, prese la chitarra e insieme a Lillo, diede il la a Latte e i suoi derivati. Decine di serate nei locali di Roma : “Per tirare su 50 mila lire”. Il resto lo fece il voce a voce. Arrivarono gli smoking delle Iene, la “Greg anatomy” di Parla con me, l’incontro con Corrado Guzzanti, i libri. Una bulìmia creativa che 20 anni dopo, sul-l’orlo dei 50, li ha portati fino a noi. Se Greg guarda ai modelli da palcoscenico: “Vianello e Tognazzi, il teatro dei gobbi, Luciano Salce, Franca Valeri e Vittorio Caprioli”, Lillo sostiene che far ridere sia “Una questione di angolazione. Sul tema si è detto quasi tutto, l’unica salvezza è intrattenere cercando sempre un punto di vista arguto. Far ridere ci piace. In genere riproponiamo al pubblico quello che diverte noi per primi. Una regola semplice che fino ad ora ha funzionato”. Se si guardano indietro, vedono i primi anni.
L’infanzia anziana di Lillo: “Mamma aveva tre figli troppo vicini per età e vivacità, così mi crebbe mia nonna”. I racconti sotto l’ombrellone, nelle estati sull’Adriatico in cui Greg ascoltava i vicini di lettino descrivere con passione le ore spese in autostrada alla guida di un camion o le ipotesi di emigrazione in Finlandia inseguendo il sogno del rock: “Pensai di andare a Helsinki e poi rinunciai. In famiglia l’arte la coltivava mio padre, devoto di Schifano e pittore costretto a lavorare nell’unica associazione italiana che non poteva permettersi il lusso dell’acronimo. La federazione italiana consorzi agrari, sintetizzata, riportava a Fica e pur di non rischiare, veniva sempre declamata per esteso”. Sono rimasti semplici e grati a parenti che c’erano e non c’erano: “Papà lavorava sulle volanti. Pronto intervento. Era molto bravo e perennemente stanco. Amatissimo dai colleghi per la sua serietà e dai delinquenti per la profonda umanità. Salvava aspiranti suicidi, sapeva coniugare il rigore del mestiere e la pietà.
Al suo funerale venne tutta la mala di Tor Pignattara. Addolorata. Distrutta. Piangente. Era coraggioso papà”. Oggi che Lillo è solo: “Papà se ne andò perché non aveva paura di nulla tranne che dei medici, sottovalutò un piccolo problema che poi si ingigantì”, la memoria della strada gli serve per non perdere le coordinate. Rispetto per tutti, a iniziare dal-l’intelligenza del pubblico: “se tu lo sottovaluti, squalifichi anche te stesso Gli togli la possibilità di scegliere, di giudicarti, di apprezzare il cambio di registro”. Non è accaduto. Lillo&Greg hanno una scala di valori. Salgono e scendono senza tremare. Essere o non essere uno zero non è mai una questione numerica.