Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 18 Martedì calendario

IL DESTINO DELL’UOMO TONNO NELLA GABBIA IN MEZZO AL MARE

Bisognerebbe essere Giacomo Leopardi, che figurò il dialogo di un cavallo e un bue, o dell’asinaio con l’asino, a scrivere il dialoghetto morale fra l’uomo e il tonno, fra l’uomotonno e il tonnouomo. I quali sono animali nobili ambedue, e specie protette: benché i tonni rossi – pinnazzurra – prossimi all’estinzione, mentre gli umani africani si moltiplicano, sicché fra il perdere il carico dei tonni e il mancare di soccorso alla deriva degli umani il peschereccio che li traina ha la scelta facile e quasi inevitabile. E solo per ipocrisia gli spettatori, quali siamo per lo più voi e io, lo deplorano, concorrendo a fissare il valore di mercato degli uni e degli altri, e i primi mangiamo di gusto, e non vogliamo sapere dei secondi. Nel maggio del 2007 comparve quel faccia a faccia fra gli uomini ammarati e i tonni deportati, e il capitano del peschereccio spiegò che i tonni dentro la gabbia valevano un milione, e i 27 somali attaccati fuori non valevano niente, e lui niente ci poteva. Questa volta gli umani del peschereccio devono essersela vista brutta davvero, se hanno tagliato la corda e perduto il tesoro di tonni pur di non caricarsi della zavorra di centodue umani. Si può disputare se gli animali umani siano superiori ai tonni, se non per possanza fisica – paragone impensabile – per intelligenza e lungimiranza. Ma il confronto è complicato dalla divisione intestina che oppone gli umani, ed è ignota ai tonni.
Pescatori e loro imprenditori e clienti; e migranti umani, e tonni. I quali sono migranti formidabili, che se ne vengono in quattro mesi dall’America al Mediterraneo — senza mai fermarsi, pena morir soffocati — in cerca dell’acqua luminosa e calda per riprodursi. I migranti umani vengono anche da lontano, per deserti e città cattive, e si attentano nell’acqua chiudendo gli occhi, immaginando di là una terra di delizie, o almeno di salvezza: e nell’acqua si aggrappano alla gabbia dei tonni, e una volta in salvo li aspetta la gabbia per umani, nella quale, dopo mesi forzati a star fermi fino a soffocare, avverrà loro perfino di rimpiangere il cielo
aperto sopra quel madornale salvagente che imprigiona i tonni, e il luccichio argentato, e gli occhi fraternamente spalancati. Ghiotti ai palati giapponesi, del resto, e preziosi a cavarne valvole cardiache, tanto sono duttili gli animali umani. Allevati in gabbia, per ingrassare, che ancora non si sa riprodurli cattivi, i tonni rossi sono catturati e trascinati per mare nella direzione inversa a quella dei gommoni di migranti umani — che non chiamo disperati, perché occorre sperare forte per mettersi in quel viaggio — fino a disporli muso contro muso, invidiandosi. Si chiama stabulazione, l’ingrasso in quei recinti acquatici, e vuol dire la stalla, promossa a stabulazione per umani, per ingrassare i tonni catturati e tenere a galla gli umani catturandi. Muoiono lungo il viaggio umani e tonni, i quali sono, benché grandissimi, delicatissimi di conformazione e chissà anche di sentimenti. Separati dai soccorritori, andranno gli uni e gli altri al loro destino, cioè alla loro destinazione. Il centro di identificazione ed espulsione, che non è cambiato se non in peggio quanto alla cella, ma ha rinunciato, gran passo, al nome di accoglienza.
La camera della morte, ora mobile, per i grandi pesci a sangue caldo, che, quando le quotazioni del mercato di Tokyo saranno più propizie, verranno fucilati dai macellatori subacquei e issati a bordo, dove, come mostrano i documentari — “Warning: slaughtering cruelty” — sussulteranno ancora dopo che sarà stata loro segata via testa e pinna caudale, e del resto a Lampedusa, mai abbastanza lodata (e tenuta a distanza), agli scampati umani verrà data subito una scatoletta di tonno, ma pinna gialla, o di delfino spacciato per tonno, così che si cancelli presto dal loro animo il turbamento di quel faccia a faccia alla gabbia. Gli antichi avrebbero saputo trarne un racconto mitologico, ma gli antichi sapevano di uomini che sfidavano i venti e le onde per seguire virtù e conoscenza e di dei che all’occorrenza si mutavano in tonni, e da noi Dio è morto o pressoché, e anche la marina maltese, e resta solo la marina nostra e la Guardia Costiera.
Si potrebbe, forse, suggerire un doppio uso, per così dire interno ed esterno, delle gabbie per tonni e per umani, e farle dotare dai costruttori di accessori come maniglie o libri sacri in confezioni impermeabili. Anche perché lo stupore indignato suscitato dai 95 vivi e i 7 o più morti appesi alla gabbia, di cui anche il presente scritto è un esemplare, è indebolito dalla ripetizione, e già in quel 2007 qui Francesco Merlo scrisse degli uomini-tonno: «Sgranate, sino a indovinare il viso e le espressioni, la foto degli uomini-tonno: per un momento potrebbe persino sembrare che sorridano. Più verosimilmente gli uominitonno mostrano i denti». Incremento dei tonni all’ingrasso e dei fuggiaschi alla deriva potrebbe assegnare alla gabbia per tonni il privilegio perduto che fu di santuari e chiese, di offrire asilo e rifugio ai perseguitati e gli inseguiti. Invece che negare asilo a chi fugge incolpevole, e incarcerare per un anno e mezzo chi ha commesso il reato d’esser venuto a un mondo come questo. Se non basta a concludere alla superiorità del tonno sull’uomo, la fa però probabile, astenendosi il tonno dal cannibalismo, salvo che negli allevamenti, dove esso è indotto dai governanti umani. Tecnicamente, non c’è confronto: avendo l’uomo ridotto i tonni al lumicino, e proponendosi ora, in extremis — la scienza procede in extremis, per quella desolazione che gli uomini chiamano pentimento, ed è una pungente nostalgia di un piatto perduto — di moltiplicarli miracolosamente, come ha saputo fare di spigole, orate, salmoni e rombi, coltivate nella taglia dei ristoranti e nel sapore proprio alle nuove generazioni. A far ingrassare il tonno prigioniero di un chilo occorrono oggi 25 chili di aringhe e sgombri, se si trovino, e se no l’equivalente in alici e sardine. A far ingrassare una profuga etiope basterebbe molto meno, ma non se ne caverebbe giovamento alcuno, nemmeno a inscatolarla. Anche lei, tuttavia, se non un valore, ha un suo costo, quando si tratti di rimpatriarla in aereo, verbo magnanimo, che fa della terra da cui è fuggita a rischio della vita e dell’onore, la sua patria.