Massimo Vincenzi, La Repubblica 17/6/2013, 17 giugno 2013
LA RIVINCITA DEL FIGLIO UNICO
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK Un piccolo teatro off Broadway. Buio in sala. Solo una luce illumina l’attrice sul palco. Recita il suo spettacolo. “La domanda cattiva che si può fare ad una donna è: avrai un figlio? E quella peggiore è: ne avrai altri? Quando io e il mio compagno stavamo pensando di avere il secondo bambino, mi svegliavo in piena notte con attacchi di panico. Lui no, lui dormiva beato. Poi dopo un po’ senza tanto pensarci sono rimasta incinta di nuovo e giuro che non mi pentirò mai di questa scelta: sempre che questa piccolina non rovini la mia vita”. Le donne ridono nervosamente, gli uomini pure anche se non capiscono bene il perché. A vedere lo show di Tina Fey, autrice di 30Rock, c’è anche Lauren Sandler che fa la scrittrice. Lei a quella domanda ha dato una risposta diversa.
Lei si è scelta una missione (quasi impossibile) nella vita: rivalutare i figli unici. All’impresa ha dedicato tre anni di studi e ricerche che ora raccoglie in un libro “One and Only”, a metà tra un manuale scientifico (la mole di dati è impressionante) e un manifesto politico.
Negli ultimi vent’anni sono aumentate le famiglie con un solo figlio: ora sono quasi venti milioni, una su cinque e i numeri crescono in maniera esponenziale. La crisi economica ovvio, la maternità che arriva sempre più tardi, la difficoltà nel conciliare lavoro e affetti. Ma sullo sfondo resta il pregiudizio, quello che Lauren Sandler combatte. Secondo l’ultimo sondaggio Gallup, il 76% degli americani pensa che essere figli unici sia uno svantaggio e non sia una cosa positiva. L’idea, sottotraccia ma non troppo, è che dietro questa decisione ci sia altro rispetto alle ragioni pratiche: ci sia l’egoismo, la convinzione di non voler essere genitori sino in fondo. “Nessuno vi dirà mai che è una cosa bella. Ma è assurdo e soprattutto falso. I bambini senza fratelli sono la categoria più bistrattata da media, cultura e persino dalla scienza che per anni ha costruito un falso mito. Quanto a me datemi pure della madre cattiva, ma io difendo la mia voglia di aver solo una bimba”, scrive sul New York Times.
“Tutti gli elementi che abbiamo dimostrano l’esatto contrario: i figli unici non sono né disadattati, né tristi”, aggiunge e la rivalutazione incomincia dalla scienza. A partire dal 1987 sono stati effettuati centinaia di studi, che hanno preso in considerazione vari elementi: la capacità di leadership, la socializzazione, la cooperatività, la flessibilità e altri aspetti del carattere come l’estroversione. Le stesse prove sono state ripetute a distanza di anni e i risultati, organizzati e analizzati da due professori dell’università del Texas Toni Falbo Denise Polit, sono inequivocabili: non c’è alcuna differenza tra i piccoli cresciuti da soli e quelli di famiglie numerose. Amici e compagni di scuola fanno lo stesso lavoro dei fratelli: fanno compagnia, ti insegnano ad affrontare le sfide e a stare in mezzo agli altri. E lo fanno meglio, senza le barriere emotive che invece caratterizzano i rapporti parentali. Ancora, è falso il mito della solitudine. I figli unici sono in grado di sviluppare rapporti molto più stretti e duraturi con gli altri, perché hanno imparato sin da subito a stare bene con se stessi, a bastarsi. Hanno uno spirito forte e, in genere, una solida autostima che li rende compagni ideali. Un sondaggio condotto in Ohio su oltre 13mila ragazzi dimostra che in media hanno molti più amici e sono in grado di mantenere questi rapporti più a lungo “con una carica fortissima di empatia, come se fossero membri di una famiglia allargata, scelta con volontà non per un gioco del destino e dunque per questo più consapevole”.
Ma non è solo questione di carattere. Le ricerche spiegano che i figli unici superano i test di intelligenza e quelli attitudinali in maniera più brillante indipendentemente dal censo e dal fatto di avere genitori separati o sposati.
Il sociologo Judith Blake ribalta uno dei luoghi comuni dell’accusa: «È vero che padri e madri dedicano molta più attenzione all’unico figlio che hanno, ma questo non è un danno: è un enorme beneficio ». In queste famiglie i bambini stanno più spesso con gli adulti e iniziano a farlo presto, così sviluppano una capacità di linguaggio che gli altri non hanno. “Un mio amico artista rimane sempre stupito di quando mia figlia all’età di due anni gli disse: quello non è rosso, è magenta”, ricorda la Sandler. Ma a trarre benefici non sono solo i più piccoli, anche gli adulti. Uno studio dell’Università della Pennsylvania condotto su 35mila genitori ha ancora una volta numeri lampanti: le coppie con un solo figlio sono in assoluto le più soddisfatte.
E questo è uno dei punti cruciali del libro. “Per avere un bambino felice ho capito che dovevo essere una mamma felice. E per esserlo dovevo essere una persona felice. Molte mie amiche mi dicono: ho avuto il secondo figlio per dare un amico al primo. Ma non ha senso, dovremmo imparare ad associare alla parola genitori un concetto che abbiamo perso da troppo tempo: la libertà, anche la nostra. Se ci annulliamo come individui non facciamo il loro bene”.
Poi ci sono i costi. Un neonato che nasce ora avrà bisogno di circa 235mila dollari per crescere. La mamma perderà otto ore di lavoro alla settimana. E se arriva il secondo le ore diventano 20, con un aumento di 12 e il bilancio si appesantisce sino ad arrivare ad un terzo del reddito. Anche questi dati lasciano poco spazio ai dubbi, ma lo stesso diventa difficile scalfire il totem: “Basta guardare la tv. Nelle serie, come Glee per esempio, le vittime possono essere di vario tipo ma i cattivi sono sempre ed invariabilmente figli unici cresciuti male per la loro triste condizione”, spiega ancora la scrittrice.
In molte sono scese al suo fianco. Sull’Huffington Post, Kayler Kravitz, una blogger californiana argomenta: “Nella vita sono più le volte che ci capita di essere soli che quelle in cui abbiamo qualcuno al nostro fianco. Io ho imparato da piccola a bastare a me stessa, a starci bene: ho avuto un’infanzia bellissima, circondata dall’amore dei miei genitori. Io non ho dubbi: non avrei voluto fratelli o sorelle”.
Ma Marlene Fanta Shyer, autrice di un libro sul tema, non la pensa allo stesso modo: “I figli unici non sono soli solo da bambini, ma per sempre. Non hanno nessuno con cui scambiare i ricordi della gioventù, non hanno aiuto quando i genitori invecchiano. Non a caso un sacco di ricerche dimostrano che di solito, da grandi, si regalano famiglie molto numerose”. E una lettrice, Glew, posta nel blog del New York Times: “È vero ho avuto successo, ho ottenuto buoni risultati all’università e poi trovato un ottimo lavoro. Ma chi ha detto che tutto questo è sinonimo di felicità? Ancora adesso quando vedo le vecchie foto di amici, quelle che si scattavano una volta con i grupponi in qualche posto di vacanza sento come un pungiglione che mi buca le mani”.
La scienza fa fatica a misurare l’anima. Gli stessi studi che magnificano le sorti dei figli unici devono ammettere che un “ma” esiste. “Il legame con i genitori è molto forte, sono spesso i migliori amici. E quando uno di loro muore, l’assenza di un fratello con cui condividere il peso della perdita è un fattore molto pesante da superare”. Ma Lauren Sandler mette in secondo piano questa opportunità, ripete: “Non possiamo farci influenzare da considerazioni così, dai pregiudizi. La scelta di avere uno o più bambini deve essere consapevole”.
Penelope, la seconda bambina di Tina Fey non le ha rovinato l’esistenza e nemmeno fermato la carriera. Continua a scrivere e a recitare tra gli applausi. Una mamma dice al sito Only child: “Anche la mia piccola sa distinguere tra rosso e magenta, anche se ha un fratellino”. In mezzo a tante parole, rimane lo slogan della Sandler che ha il sapore di una verità: “I figli unici sono più diffamati che disadattati, non preoccupatevi per loro”.